Friend Zone (Seconda parte), G - Romantico - Commedia - Twv not related - AU - OOC - Introspettivo

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Redda
view post Posted on 16/4/2013, 15:48




Titolo: Friend Zone
Autore: Redda
Genere: Romantico / Commedia
Raiting: G
Avvisi: TWC not related - AU - OOC - Introspettivo
Riassunto: Concluse quel suo discorsetto con questa frase: oggi è il giorno in cui uscirò dalla friend zone. Partì poi una musichetta e, sullo schermo nero, comparve la scritta “Friend Zone. Amici o fidanzati?”, dietro la quale c’era un grosso cuore luminoso.
Ma che cavolo…? Dimenticandomi dei dolori e del mal di testa, mi misi a sedere e alzai un po’ di più il volume.
Avevano creato un programma basandosi sulla mia vita e lo venivo a sapere solo adesso?


Disclaimer: I personaggi di questa storia non mi appartengono, niente di quello che ho scritto è mai successo e non ci guadagno niente a farlo.



Creative Commons License
Friend Zone by Redda is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

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Friend Zone - Seconda parte





Quella mattina il risveglio non fu uno tra i migliori; avevo passato l’intera nottata a girarmi e rigirarmi nel letto come un’anima in pena, e non ero riuscito a chiudere occhio nemmeno per dieci minuti. Avevo fissato la radiosveglia sul mio comodino, osservando lo scorrere del tempo, un minuto dopo l’altro. La tensione nervosa aveva continuato a torturarmi, e il mio povero stomaco ne stava patendo le conseguenze. I crampi non mi avevano dato un attimo di tregua, e ad ogni ora si facevano sempre più dolorosi. Se continuavo di quel passo rischiavo di andare all’altro mondo prima di riuscire a mettere un piede fuori di casa.

Mi era rifiutato di mandar giù la colazione, la sola vista del cibo mi dava la nausea, e mia madre era addirittura arrivata a domandarmi se presto sarebbe diventata nonna, ritenendola una battuta molto spassosa. Io preferii non mangiare, perché ero consapevole del fatto che avrei finito col rimettere nel water o, nella peggiore delle ipotesi, sulle scarpe di Bill, e dubitavo che, dopo una scena del genere, avrebbe più voluto parlarmi; di sicuro, io non avrei più avuto il coraggio di guardarlo in faccia.

Continuai a fare avanti e indietro per la mia stanza, asciugandomi la fronte di tanto in tanto. Non riuscivo proprio a stare fermo, sentivo il mio corpo pervaso da un fastidioso senso di formicolio.

La sera prima avevo passato almeno due ore davanti allo specchio, a provare e riprovare il discorso che avrei fatto a Bill, cambiandolo di volta in volta, ma il mio cervello sembrava averlo rimosso del tutto, ed ora non vi era rimasta che una tabula rasa. Potevo ritenermi fregato! Mi sarei ritrovato a fissarlo e a boccheggiare, senza sapere cosa dire, facendoci così la figura dell’idiota.

«Merda, merda, merda…», mormorai a me stesso, provando l’impulso di sbattere la testa contro il muro. A quel punto preferivo una commozione cerebrale piuttosto che vivere l’esperienza più imbarazzante della mia vita.

Stavo aspettando l’arrivo di Bill, il quale aveva insistito sul fatto che voleva essere lui a scegliermi i vestiti per quel grande evento, per evitare che l’agitazione pre-appuntamento mi facesse accostare due colori che facevano a pugni tra di loro. Io nemmeno ci stavo pensando ai vestiti, ero talmente teso che mi sarei anche potuto presentare in mutande, vista la quantità di sudore che stavo espellendo da ogni singolo poro del mio corpo.

Quando sentii bussare alla porta feci un piccolo salto, ma si trattava solo di mia madre. Per fortuna avevo tenuto la finestra chiusa, perché il mio sguardo andò a finire proprio lì. Me la volevo dare a gambe levate, era fin troppo chiaro; perché avevo deciso di confessargli i miei sentimenti? Ero solo un pazzo masochista.

«Posso?», mi domandò, restando sulla soglia.

Annuii e la osservai.

«Hai una pessima cera», mi fece notare lei, un po’ preoccupata.

Sarebbe stato strano essere fresco come una rosa dopo la terribile nottata che avevo trascorso.

«Ti senti bene?».

«In verità mi sento da schifo, ma non chiedermi il perché».

«Beh… io lo so il perché», mi confessò, accennando un piccolo sorriso colpevole.

«Cosa?!», domandai, perdendo anche quell’ultima briciola di colorito che avevo in viso. Ora si spiegava tutto: come facesse a ritrovare oggetti che io ritenevo ormai perduti, come facesse a tenere la casa sempre così in ordine, e alla sera avesse ancora così tanta energia e, soprattutto, come facesse a non ammalarsi quasi mai… Aveva dei super poteri! Mia madre faceva parte degli X-Man ed io lo venivo a sapere solo adesso.

«Non arrabbiarti con me, non ho origliato di proposito», si giustificò mia madre, avvicinandosi a me. «Ieri stavo venendo qui a dirti che era pronta la cena, e ti ho sentito parlare, o meglio provare».

«Oh mamma», mugugnai, vergognandomi da morire. Perfetto, ero stato beccato da mia madre mentre dicevo al mio riflesso di amarlo.

«Tom non devi sentirti imbarazzato, sono pur sempre tua madre, e puoi stare tranquillo, non comincerò a dire frasi del tipo “il mio bambino sta diventando un ometto”. Capisco perfettamente che per te questo è un momento molto importante, e lo so da tempo ormai, da quando mi domandasti perché ti batteva forte il cuore ogni volta che vedevi Bill. Tante volte mi sono chiesta perché nessuno di voi due avesse ancora deciso di fare la prima mossa».

«È così evidente?», domandai, facendo una piccola smorfia. Chiunque aveva capito che amavo Bill, meno il diretto interessato. Erano tutti troppo perspicaci, oppure era lui ad avere problemi di vista e a non riusciva a notare quello che aveva di fronte al naso?

«Un pochino», ammise lei, sorridendomi con dolcezza. «Voglio bene a entrambi, considero Bill come un secondo figlio, e qualsiasi cosa succeda io sarò qui per sostenerti. Ma ciò che mi auguro è di vederti rientrare sorridente, mano nella mano con il ragazzo che ami. Voglio vederti felice, Tom, e so che quello che stai per fare è molto difficile, e anche molto coraggioso, e per questo sono davvero orgogliosa di te».

Le orecchie mi presero fuoco e mia madre ridacchiò, prima di stringermi in un abbraccio e di baciarmi una guancia. Non mi ero aspettato un simile discorso di incoraggiamento da parte sua, anche perché non avrebbe dovuto saperlo, ma mi faceva sentire bene sapere che anche mia madre faceva il tifo per me.

«Fai un bel respiro», mi suggerì, e in quel momento sentimmo il trillo del campanello.

Il mio cuore si era bloccato per un istante all’idea che Bill era lì, era arrivato.

«Vado io ad aprirgli», mi disse mia madre e mi fece una carezza.

Mi guardai rapidamente attorno, alla ricerca di qualcosa; non voleva che Bill mi vedesse in quello stato, mentre ero sul punto di vomitare fuori anche l’anima, così afferrai al volo una rivista e mi buttai sul letto, un attimo prima che il mio amico aprisse la porta.

«Ehi», mi salutò raggiante, nel momento in cui mi vide. Ed io mi sentii venir meno quando incrociai il suo sguardo, perché capii che era tutto reale, quel momento era finalmente giunto, non c’era più la possibilità di fare marcia indietro.

«Ciao», risposi, mentre cambiavo pagina, fingendomi rilassato.

«Come stai?», mi chiese, poggiando lo zaino sul mio letto.

«Sto abbastanza bene».

«Bugiardo», mi apostrofò il moro, ridacchiando. «Hai delle occhiaie da notte dei morti viventi, per fortuna ho portato il mio kit delle emergenze. Non avrai pensato di presentarti, sul serio, in queste condizioni? Vuoi spaventarlo?».

«Non pensavo che per un primo appuntamento ci si dovesse addirittura truccare», replicai, mettendo da parte la rivista.

«Nel tuo caso serve eccome», mi rispose Bill, mentre recuperava un beauty case nero, il quale conteneva tutti i suoi trucchi. «Tranquillo, ci andrò leggero. Voglio solo che il tuo amichetto non veda che hai passato la notte in bianco. Dopo questa seduta di make-up sembrerai fresco e riposato, come se avessi dormito tra due morbidi guanciali. Forza, vieni qui», disse, battendo una mano sul bordo del letto.

Era inutile opporsi, quindi lasciai che Bill armeggiasse con il mio viso, e questo mi permise di osservalo con più attenzione; era davvero concentrato, si vedeva che ci teneva a fare un buon lavoro.

Il mio sguardo finì inevitabilmente sulle sue labbra, leggermente dischiuse; mi sarebbe bastato spingere il viso in avanti di pochi centimetri per sfiorarle di nuovo. L’idea che di lì a poche ore ci saremmo anche potuti baciare – un bacio vero, questa volta da parte di entrambi, senza più alcool di mezzo – mi provò un piacevole brivido lungo la schiena, e per fortuna riuscii ad evitare di arrossire.

«Sei agitato?», mi domandò, mentre fissava il tutto con un velo di cipria trasparente.

«Non immagini quanto, ho lo stomaco a pezzi per la tensione», ammisi. Era fin troppo palese, che senso aveva mentire? Almeno avrebbe saputo quanto me l’ero fatta sotto prima di confessargli che lo amavo, e magari l’avrebbe trovata una cosa tenera. Per questo mi sarei meritato una dose extra di coccole.

«Appena lo vedrai ti sentirai meglio e tutte le tue paure svaniranno».

«Sicuramente», risposi, abbozzando un sorriso, anche se sapevo bene che non era esattamente così.

Una volta che ebbe finito di truccarmi, Bill cominciò a setacciare il mio armadio, alla ricerca degli abiti che avrei dovuto indossare, e lo sentii lamentarsi del fatto che lì dentro non ci fosse niente di decente, che potesse andare bene per un primo appuntamento.

«Non hai detto che devo essere me stesso?», gli rammentai, quando gli vidi scartare l’ennesima maglia. «Anche i miei vestiti fanno parte dell’essere me stesso».

«Ho capito, ma deve esserci un limite a tutto, perfino al tuo scarso interesse per la moda. Spero che almeno lui abbia buon gusto nel vestire, basti tu come caso disperato».

«Direi che ne ha fin troppo. È fissato con la moda, ed ha avuto da ridire sul mio abbigliamento».

«Non lo conosco ma mi sta già simpatico».

«Andreste molto d’accordo, sembrate quasi la stessa persona», ironizzai, osservando la schiena del mio migliore amico, che continuava a fare la sponda dall’armadio al letto. Gli ci volle almeno un quarto d’ora per trovare una maglia e un paio di pantaloni che stessero bene insieme, e mi obbligò a indossarli.

«Ti sei davvero messo quelle mutande orribili?!», esclamò, riferendosi ai miei boxer azzurrini.

«Che c’è che non va?», domandai, inarcando un sopracciglio. «Me li hai visti indosso un sacco di volte».

«E se doveste passare al sodo?», mi chiese, poggiandosi una mano sul fianco. «Vuoi davvero farti vedere con quei mutandoni da novantenne? Sei consapevole del fatto che, così facendo, ti stai tirando la zappa sui piedi? Comincio a credere che il tuo intento sia proprio quello di farlo scappare».

La mia faccia diventò incandescente. «Non… non essere stupido», borbottai, mentre sollevavo il cursore della zip. «Non faremo mica… sesso, questo è solo il primo appuntamento». Mi aspettavo al massimo un bacio, niente di più.

«Non si può mai sapere», disse, facendo spallucce. «Magari verrete travolti dal fuoco della passione e darete sfogo ai vostri istinti dietro un cespuglio. Aspetto una tua chiamata dal commissariato, in cui mi dirai che siete stati arrestati per atti osceni in luogo pubblico, ed io sarò tanto orgoglioso di te».

Preferii tacere e scossi il capo. Avevo cercato di non pensare a certe cose, e invece era Bill a rigirare il coltello nella piaga; sapevo che non sarebbe successo nulla, figuriamoci se saremmo finiti per davvero dietro un cespuglio, ma la mia mente stava dando il peggio di sé in quel momento.

«Dacci un taglio, idiota», mormorai a se stesso.

«Hai detto qualcosa?».

«No, niente», mi affrettai a rispondere.

«Sai che la palestra ti sta facendo bene?», mi disse Bill, osservandomi dalla sedia. «Ti è perfino sparita la pancetta, tra poco avrai un fisico da wrestler».

«Come no», risposi, sbuffando una risata. «Dopo mi infilerò una calzamaglia e una maschera, e andrò a combattere nella WWE».

«Saresti carino con la calzamaglia, con tutti i tuoi doni naturali ben in vista», sghignazzò, beccandosi poi una maglietta sulla faccia. «Avresti un sacco di fan».

«Come sto?», gli domandai, dopo essermi vestito. Feci un giro su me stesso per farmi ammirare da ogni angolazione.

«Molto bene. Il ragazzo misterioso cadrà ai tuoi piedi», mi assicurò Bill, sorridendomi, e sollevò entrambi i pollici in alto.

«Mi basterebbe sentirgli dire quel sì», mormorai senza pensarci.

«Sì a cosa?», domandò il moro, confuso. «Gli vuoi già proporre di sposarti?», mi chiese, strabuzzando gli occhi. «Non è un po’ troppo presto? Certe cose succedono solo nelle puntate di Beautiful. Se la darebbe a gambe levate prima di averti lasciato il tempo di finire la frase».

«A niente, stavo solo… Niente, ho detto una frase senza senso».

«L’agitazione ti sta facendo farneticare, cerca di calmarti o finirai a parlare di unicorni che galoppano sugli arcobaleni», mi suggerì in tono scherzoso.

Calmarmi, non ricordavo più il significato di quel verbo. Più si avvicinava l’ora x e più sentiva le mie ginocchia raggiungere la consistenza di una gelatina instabile, pronta a cedere da un momento all’altro. Ero bombardato da mille emozioni diverse al secondo, un attimo prima ero al settimo cielo, quello dopo spaventato da morire. Non credevo possibile che un essere umano potesse provare tanti sentimenti tutti in una volta, la cosa mi lasciò leggermente frastornato.

Passammo la mezz’ora successiva a parlare, o meglio Bill parlò, io cercai di regolarizzare la sudorazione del mio corpo e di non rimettere, ma stavo avendo grosse difficoltà con entrambe le cose. Per di più quel continuo pensare mi aveva provocato un leggero mal di testa.

«È meglio se ci muoviamo», mi disse improvvisamente il moro, «o rischi di fare tardi, non è bello far aspettare quello che potrebbe diventare il tuo futuro fidanzato».

«Mh mh…», mugugnai, mentre cercavo di mandare giù il groppo che mi si era formato in gola.

Recuperai lo zaino, dentro il quale avevo messo una coperta, le caramelle e qualcosa da mangiare, e raggiungemmo il salotto, dove c’era mia madre seduta sul divano. Osservò prima Bill e poi me, e mi fece un sorriso, augurandomi buona fortuna con lo sguardo. Insieme uscimmo di casa, diretti verso la fermata della metro, che ci avrebbe portati fino al parco.

Mentre ci trovavamo sul treno diventai catatonico. Il mio colorito, seppur reso migliore dal fondotinta, dietro quella “maschera” aveva assunto una tonalità che virava tra il bianco cadavere e il verde nausea, e la mia fronte si imperlò di sudore.

Sentii la mano di Bill scivolare sulla mia e mi strinse leggermente le dita, quasi stesse cercando di trasmettermi un po’ di coraggio. Non la ritrasse quando sentì quando fosse bagnata, mi accarezzò il dorso con l’altra, in un movimento lento e continuo.

«Andrà bene», mi sussurrò all’orecchio, dandomi un piccolo bacio sulla guancia.

Dopo quel breve tragitto, uscimmo dalla metro e ad ogni passo fu come se una forza invisibile cercasse di rallentarmi, spingendomi indietro. Era la mia parte razionale, quella che avevo smesso di ascoltare negli ultimi giorni. Riuscivo a vedere il parco e la mia bocca si seccò completamente. La mia salivazione si era azzerata, così come i battiti del mio cuore. Se qualcuno mi avesse attaccato un elettrodo sul petto, probabilmente mi avrebbe scambiato per uno zombie, perché le pulsazioni, in quel momento, erano del tutto assenti.

«Gli hai detto che vi sareste visti in un posto preciso?».

«All’ingr-ingresso», balbettai, asciugandomi i palmi sudati sui jeans, per l’ennesima volta.

Eravamo sempre più vicini e il mio cervello subì un crollo, aveva lavorato a un ritmo così frenetico da andare in black-out.

«Ci siamo», mi disse Bill, quando raggiungemmo l’ingresso. Mi poggiò le mani sulle spalle e mi sorrise. «Ricordati di non farneticare e di essere sempre te stesso, e vedrai che non potrà resisterti».

«O-ok».

«È così strano essere qui, al tuo primo appuntamento», ammise, ridacchiando appena. «Ma sono felice che tu abbia trovato un ragazzo che ti faccia stare bene. Prima che vada, però, voglio che tu gli dia un avvertimento da parte mia: se prova a farti soffrire, io lo cercherò fino in capo al mondo per fargliela pagare».

Abbozzai un sorriso di fronte a quella minaccia che Bill, inconsapevolmente, stava rivolgendo a se stesso.

«E digli che deve sentirsi estremamente fortunato perché ha avuto l’onore di poter uscire con un ragazzo fantastico come te».

«Ne prendo nota», scherzai.

«Bene, direi che è arrivata l’ora che io mi levi dai piedi, non voglio che mi trovi qui, potrebbe pensare che ci sto provando con te». Mi strinse in un abbraccio e lo sentii aggrapparsi alla mia maglietta. «Ti voglio bene», mi sussurrò.

«Te ne voglio anch’io».

Bill mi osservò un’ultima volta prima di darmi le spalle, ma gli diedi giusto il tempo di fare un paio di passi. Dovevo agire subito, prima che la mia codardia avesse la meglio.

«Bill», lo richiamai prontamente.

«Che succede?», mi domandò, voltandosi nuovamente verso di me. «Hai dimenticato qualcosa?».

«No. Puoi tornare qui un momento?».

Lo vidi ripercorrere i propri passi e ci ritrovammo nuovamente faccia a faccia.

Era finalmente giunto il momento che avevo atteso per cinque anni, stavo per confessare i miei sentimenti al ragazzo che amavo, e non credevo che ci si potesse sentire tanto agitati, anche se quello non era esattamente il miglior modo per iniziare una relazione, ma l’importante era farla cominciare. Bill avrebbe capito il perché gli avessi mentito, inventandomi tutta quella storia.

«Io… ti ho detto una bugia».

«È brutto?», domandò ingenuamente. «L’aspetto fisico non è così importante, lo sai. E poi se piace a te chi se ne frega di ciò che pensano gli altri, l’importante è che sia bello interiormente».

«Non si tratta di questo. Vorrei che tu mi lasciassi parlare senza interrompermi».

«Ci proverò», mi promise, anche se sapevo che per lui sarebbe stato difficile.

Eccomi qui, di fronte al mio migliore amico, pronto a dirgli che lo amavo. Senza ombra di dubbio, questo era il gesto più coraggioso e folle allo stesso tempo che avessi mai fatto in tutta la mia vita.

«Devo confessarti una cosa…». Presi un bel respiro e accarezzai il bracciale d’argento che portavo al polso, raccogliendo i pochi stralci del discorso che avevo preparato che ancora riuscivo a ricordare, nel frattempo cercai di placare i tremiti che mi stavano scuotendo le ossa. «Non… non ho conosciuto nessun ragazzo alla festa di mio cugino».

«Non capisco», ammise confuso, prima di ricordarsi che aveva promesso di non parlare. «Scusami, continua pure».

Presi un secondo, lungo respiro. Era davvero difficile.

«So di averti chiesto aiuto per questo appuntamento, ma la verità è che non verrà nessuno. Io… io ho fatto tutto questo solo… per te». Osservai gli occhi di Bill mentre si sgranavano lentamente, e sapevo che avrebbe voluto dire qualcosa, perché vidi le sue labbra dischiudersi, ma non proferì verbo. «Siamo amici da molto tempo ormai, e in questi anni ho capito che ciò che sento per te non è più una semplice amicizia, ho capito… ho capito di essermi innamorato di te. Probabilmente è l’ultima cosa che ti aspettavi di sentirmi dire, soprattutto oggi, e ti chiederai perché ci abbia messo così tanto tempo per farlo, ma mi conosci… Non sono quel tipo di persona che reagisce in modo impulsivo, anche perché, se avessi dato ascolto al mio istinto, a quest’ora me la sarei data a gambe levate, ma non potevo più tenermelo dentro, i miei sentimenti hanno avuto la meglio. Non l’ho fatto prima perché avevo paura che la nostra amicizia potesse rovinarsi, e non credo che sarei in grado di andare avanti senza averti al mio fianco, sei una parte fondamentale della mia vita. Era per questo motivo che in questi giorni mi stavo comportando in modo così strano, e mi spiace di averti mentito, avrei dovuto essere sincero fin da subito, ma l’ho fatto solo perché non avevo altro modo per dirti che… ti amo». A quel punto le mie guance si arrossarono vistosamente. L’avevo ripetuto così tante volte al mio riflesso, ma questa volta era a Bill che l’avevo detto, ci ero riuscito. Ero stupefatto di me stesso. «Non puoi nemmeno immaginare lo stato emotivo in cui mi trovo in questo momento, e sto facendo un grande sforzo per non svenire, ma sono finalmente riuscito a liberarmi delle mie paure, che per tutto questo tempo mi hanno impedito di essere sincero riguardo ai miei sentimenti nei tuoi confronti. Vorrei… vorrei sapere se anche tu provi lo stesso… per me».

«Io…».

Riuscivo quasi a vedere i pensieri di Bill che vorticavano nella sua testa. Stava ripensando a questi ultimi giorni, a tutto ciò che avevo detto e fatto, stava ripensando agli anni passati, ai momenti vissuti insieme, che ora sembravano avere un altro significato. Capivo benissimo che anche per lui non doveva essere facile, perché ora gli appariva tutto così diverso.

Ma notai che i suoi occhi non erano lucidi per l’emozione, come quelli della ragazza di quel programma, a dirla tutta sembrava quasi atterrito. Se ne stava lì a fissarmi, con la bocca aperta e le sopracciglia leggermente aggrottate. Il mio stomaco si contorse in modo doloroso quando riuscii a capire che tipo di emozione fosse quella che Bill aveva dipinta sul viso. Fu come ricevere un cazzotto in piena faccia.

Era dispiaciuto. Non felice, non stupito, ma dispiaciuto. Avrei preferito vederlo infuriato perché gli avevo mentito, tutto ma non quello.

Fui costretto ad abbassare lo sguardo, perché continuare a guardarlo negli occhi era diventato insopportabile, riuscivo a leggere ogni sua singola emozione.

«Io… io non… - fece una pausa - Tom… noi due siamo…».

«Ti prego», lo interruppi prontamente, e per un attimo fui tentato di tapparmi le orecchie con le mani, pur di non sentirlo. «Non dire che siamo come fratelli, perché è l’ultima cosa che vorrei sentirti dire». Il mio tono era amareggiato, e di sicuro non passò inosservato a Bill. Se era vero che riusciva a percepire il mio dolore, in quel momento doveva stare proprio da schifo.

«Non so che dire…».

Non era esattamente il finale che mi ero aspettato. Non mi era saltato al collo in lacrime, dicendomi che anche lui mi amava, ma mi stava a distanza, e si vedeva lontano un miglio che aveva solo voglia di scappare via da lì, via da me.

Il dolore che avevo provato nel sentirgli dire che si era fidanzato non era niente a confronto di come mi sentiva in quel momento. Mi sembrava che tutto ciò che si trovava sotto la mia pelle stesse avvizzendo lentamente e il mio cuore si era ridotto a un cumulo di cenere.

Avevo frainteso tutto, fin dall’inizio, e ora me ne vergognavo da morire. Probabilmente avevo appena distrutto la cosa più bella che mi era mai capitata nella vita.

«Mi dispiace».

Restammo in silenzio per un tempo che mi sembrò infinito, e questo mi permise di riflettere, di capire che avevo commesso un errore irrecuperabile, e quei cinque anni vissuti insieme si erano appena dissolti.

Non ebbi il coraggio di chiedergli se eravamo ancora amici, perché temevo che dalla mia bocca potesse uscire altro, frasi di cui mi sarei potuto pentire, dette senza riflettere.

Scossi il capo e scostai il viso, puntandolo verso la direzione opposta; ero io ad avere gli occhi lucidi, ma quelle che stavo per versare non erano lacrime di gioia.

«Credo… sia meglio che io… me ne vada», gli sentii dire all’improvviso.

Non gli risposi, rimasi ad ascoltare il rumore delle suole di Bill che colpivano velocemente le mattonelle del marciapiede; quando tornai a voltarmi era già scomparso, ed io ero solo.

Lo zaino mi scivolò dalla spalla e cadde a terra, ed io fissai il punto in cui, fino a un attimo prima, c’era stato il mio migliore amico. Ora come ora non sapevo nemmeno se potevo ancora definirlo così.

Ero andato lì con la speranza di poter cominciare una nuova vita insieme, e mi fu inevitabile pensar che, forse, avrei fatto meglio a non accendere la televisione, perché quel coraggio riscoperto mi aveva portato a compiere la peggiore cazzata che avessi mai fatto.

Che cosa avrei detto a mia madre? E ad Andreas? Loro mi avevano incoraggiato, dandomi il loro supporto, ed io, invece, tornavo a casa con la coda tra le gambe, sconfitto. Ci eravamo tutti sbagliati, avevamo tutti frainteso, ma loro si sarebbero limitati a darmi una pacca sulla spalla o a farmi una carezza, dicendomi che, prima o poi, mi sarebbe passata, ci avrebbe pensato il tempo a lenire le mie ferite, ma le loro vite sarebbero comunque andate avanti, la mia si era appena spezzata in mille pezzi.

Mi sentivo completamente svuotato, non riuscivo ad avvertire alcuna emozione in me, non provavo più niente.

L’happy ending era roba da favolette della buonanotte, eppure io ci avevo creduto, con tutto me stesso, e forse era stato proprio quello il mio errore.

Alla fine di quella giornata non avevo accanto a me il ragazzo che amavo, solo una profonda voragine sul lato sinistro del mio petto, lì dove, fino a poche ore prima, si era trovato il mio cuore.

*



Passai i due giorni successivi chiuso nella mia stanza. Non avevo voglia di mangiare, non avevo voglia di dormire, non avevo voglia di vedere nessuno.

Quando sabato rientrai a casa, mia madre mi venne incontro con un gran sorriso – era rimasta lì in salotto, in attesa di vedermi aprire la porta -, che si spense nell’istante in cui vide la mia espressione funerea, e capì che le cose non erano andate molto bene. Quando le vidi aprir bocca, per chiedere spiegazioni, la pregai di non dire nulla a riguardo, perché non avevo voglia di parlare di quanto era successo, le ferite erano ancora fresche e facevano un male cane, e le chiesi di lasciarmi da solo.

Non volevo avere alcun tipo di contatto con il mondo esterno, desideravo solo starmene rinchiuso nel mio bozzolo, ad espellere il dolore che stava filtrando nel mio sangue, e in ogni angolo del mio corpo.

Quando mi buttai sul letto, ormai privo di forze – avevo fatto la strada di casa a piedi –, nascosi la testa sotto il cuscino e non potei impedire alle lacrime di bagnarmi le guance, mentre continuavo a colpire il materasso con i pugni chiusi, sentendo il tintinnio prodotto dal bracciale.

Avevo visto altre puntate di quel programma, e alcuni dei ragazzi avevano ricevuto un due di picche, e mi domandai come avessero fatto a mostrarsi tanto calmi, come se non fosse successo nulla. Io mi sentivo devastato, come se mi fossi ritrovato nel bel mezzo di un uragano.

Perché le cose erano andate a finire così? Non sapevo darmi una risposta, era tutto troppo confuso ed io volevo smetterla di pensare, così lasciai che il mio cervello spegnesse l’interruttore, ma ciò non mi impedì di continuare a star male. Era questo il brutto di essere un essere umano: le emozioni non si potevano spegnere a comando.

Durante quelle quarantotto ore, Bill continuò a inviarmi messaggi e a chiamarmi. Sul display del mio cellulare si contavano 150 sms non letti e 80 chiamate senza risposta, ed ero certo che mi avesse lasciato anche qualche messaggio sulla segreteria, che io non avevo ascoltato. Aveva perfino telefonato a mia madre, nella speranza che mi passasse la chiamata, ma le avevo sentito dire che non era il caso, e dalla suo tono capii che anche lei era dispiaciuta per come erano andate le cose, aveva sperato davvero che io e Bill ci mettessimo insieme.


Quella mattina non ero andato a scuola, a malapena riuscivo a reggermi in piedi, e tutti si sarebbero posti delle domande vedendomi cambiare posto, sarebbe stato palese a chiunque che tra di noi c’era qualcosa che non andava. Non avevo la forza di rispondere alle loro domande, e l’idea di stare nella stessa stanza insieme a lui, con il suo sguardo piantato addosso, mi faceva dolere lo stomaco. Arrivai addirittura a pensare a un cambio di scuola, se non di Paese, ma ero cosciente del fatto che quelle erano idee molto stupide, dettate dal momento che mi appariva più nero della pece.

Sapevo che prima o poi lo avrei dovuto affrontare, perché nonostante tutto non riuscivo a stargli lontano; quei due giorni erano stati i più brutti della mia vita, non solo perché stavo male fisicamente ed emotivamente, ma sentivo comunque la sua mancanza, come se mi fosse stata tolta l’aria.

Ero stato io stesso a dirgli che gli sarei rimasto accanto, qualsiasi cosa fosse successa, e dovevo onorare la parola data; mi serviva solo un po’ di tempo per riprendermi da questa cocente delusione.

Sarei riuscito a comportarmi in modo normale? Sarei riuscito a tornare me stesso?

Sapevo di aver detto ad Andreas che avevo preso in considerazione entrambe le possibilità, sia quella positiva che quella negativa, ma la verità era che mi ero illuso, non avevo dato importanza all’idea che Bill potesse dirmi di no, anche se, in realtà, non mi aveva detto un vero e proprio no, era più corretto dire che era scappato via. Nella mia testa ci avevo visti già come una coppia, per questo motivo la sua reazione mi aveva ridotto in questo stato, e non potevo dare tutta la colpa a lui, lo stupido ero stato io, avrei dovuto ragionarci su in maniera seria, senza farmi prendere dalle mie fantasie romantiche, preparandomi psicologicamente. Non che le cose sarebbero andate in maniera differente, ma forse ci sarei stato meno da schifo, giusto un pochino.

Non potevo, comunque, smettere di voler bene a Bill, avrei solo dovuto imparare a contenere i miei sentimenti, e forse, pian piano, avrei smesso di amarlo… Ma chi volevo prendere in giro? Non sarei mai riuscito a non amarlo, ma preferivo essere solo un amico piuttosto che non essere un bel niente, mi bastava averlo accanto, dovevo accontentarmi.

La cosa che mi faceva stare ancora un po’ male era sapere che, forse, il nostro rapporto si era incrinato. C’era la possibilità che tra di noi non ci fosse più quella complicità che avevamo avuto per tutti quegli anni; non volevo che cominciasse a trattarmi come uno qualsiasi dei suoi amici per via dell’imbarazzo, non lo avrei proprio sopportato.

Ma, probabilmente, stavo chiedendo troppo. Non potevamo far finta di niente, comportandoci come al solito, era successo quel che era successo, era difficile da negare, e avremmo lavorato sul nostro rapporto, cercando di stabilire un nuovo equilibrio.

Mi accorsi ben presto che stavo continuando a fare lo stesso errore che mi aveva portato a quella situazione: ragionavo a senso unico.

Avevo creduto che Bill mi amasse e si era rivelato inesatto, ora pensavo a ricreare una base solida per il nostro rapporto, quando non ero nemmeno certo che Bill volesse ancora avere un qualsiasi rapporto con me. Gli avevo mentito e l’avevo messo a disagio, con quella dichiarazione d’amore fatta in mezzo alla strada, chi poteva assicurarmi che voleva ancora essere il mio migliore amico?

In cinque anni avevamo avuto un’amicizia pressoché perfetta: mai una litigata seria, niente di niente, era la prima volta che ci trovavamo ad affrontare una situazione del genere, di un certo peso. Sarebbe bastato questo a porre la parola fine? Questa prospettiva mi terrorizzava.

«Tom», sentii la voce di mia madre oltre la porta della mia stanza. «Tesoro, sei sicuro di non voler mangiare niente?», mi domandò in tono preoccupato. «Sono due giorni che non tocchi cibo».

Stavo facendo del male anche a lei e mi odiavo per questo. A mio padre non aveva detto niente, si era limitata a inventare una scusa, perché sapeva che scarseggiava in quanto a tatto, e avrebbe finito col dire la cosa sbagliata.

«Non ho fame», risposi a malapena.

«Come preferisci… Se cambi idea fammelo sapere».

Lo stomaco mi bruciava per l’eccessiva assenza di cibo, ma non mi andava di uscire da lì per mangiare. Di tanto in tanto buttavo giù un paio di caramelle, quelle che avevo comprato per l’appuntamento, e che avevo immaginato di dividere con Bill, stesi sopra la coperta, mentre ci godevamo i raggi del sole.

Chissà che cosa stava facendo in quel momento… Era da circa tre ore che non sentivo la vibrazione del mio telefono, probabilmente doveva essere a scuola e gli era impossibile usarlo.

Stava insistendo così tanto perché si sentiva in colpa o perché voleva dirmi che non dovevo più cercarlo? Era anche per quel motivo che non gli avevo ancora risposto, arrivato a questo punto non sapevo più cosa aspettarmi. Non riuscivo proprio ad essere ottimista.

I miei occhi stavano cominciando a farsi pesanti; l’assenza di sonno, come l’assenza di cibo, non era molto salutare, per questo motivo pensai di avere le traveggole quando sentii qualcuno bussare alla finestra della mia camera. Mi sollevai con fatica dal materasso e spostai lo sguardo verso quella direzione; mi si spezzò il respiro quando vidi Bill dall’altra parte del vetro, e devo ammettere che non aveva una cera migliore della mia.

Scossi il capo e mi stropicciai le palpebre. Si trattava di un’allucinazione?

Lo vidi farmi cenno di raggiungerlo fuori e sparì un attimo dopo.

Era evidente che volesse parlarmi a tutti i costi e, dal momento che io non gli avevo risposto, era venuto lui da me.

Per un attimo pensai di restare lì e mettermi a dormire, ma sapevo che quel faccia a faccia era inevitabile. Prima mettevamo le cose in chiaro e meglio era per entrambi, in questo modo avrei potuto mettermi l’anima in pace e non sarei più stato logorato dai dubbi. Ormai ero pronto a tutto.

Per miracolo riuscii a reggermi sulle mie gambe, nonostante le sentii tremare per un attimo, e uscii dalla mia stanza. Mia madre, vedendomi, si alzò di scatto, pronta a correre in cucina per rimpinzarmi di cibo, ma io scossi il capo.

«Bill è venuto qui», le dissi, e sulla sua fronte si formarono delle piccole rughe. «Dobbiamo parlare».

Annuì e non disse altro, ma mi raggiunse prima che io potessi fare un altro passo e mi strinse tra le braccia. Riuscii a percepire tutto l’amore che provava nei miei confronti e fu come se qualcuno avesse acceso un fiammifero nel mio petto. Provai una debole sensazione di calore, ma fu comunque bellissimo.

Poggiai una mano sulla maniglia – notai che stavo tremando – e respirai a fondo prima di abbassarla. Il sole del mattino mi accecò e fui costretto a schermarmi gli occhi per un istante, successivamente vidi Bill, che se ne stava accanto al corrimano; aveva il viso sciupato e non sembrava nemmeno lui. Tutta l’allegria che sprigionava di solito sembrava essersi esaurita. Si torse le mani con nervosismo e osservò ogni mia mossa.

«Ehi», mi salutò, abbozzando un sorriso, che si spense un attimo dopo.

«Ehi», risposi atono.

«Possiamo… possiamo parlare?», mi domandò, e sentii la sua voce tremare leggermente.

«Abbiamo ancora qualcosa da dirci?», replicai, senza mostrare la minima emozione. Ero partito con il piede sbagliato, quello non era il miglior modo per fargli capire che volevo ancora essere suo amico, mi stavo comportando come un vero stronzo, ma lo stavo facendo involontariamente, era come se qualcun altro stesse parlando al mio posto, ed io fossi costretto a osservare la scena senza la possibilità di intervenire.

«Tom, ti prego…». Stavo di merda vedendolo in quello stato, volevo solo alzarmi in piedi e abbracciarlo, dicendogli che non mi importava un bel niente di tutta quella storia, ma non lo feci. «Dobbiamo parlare di quanto è successo due giorni fa… io sto impazzendo».

«Tu?», gli chiesi in tono ironico, e dal suo sguardo capii che lo avevo ferito. Mi diedi mentalmente un pugno.

«So bene di meritarmi questo trattamento da parte tua, te lo posso assicurare, ma permettimi di spiegarti, permettimi di dirti perché mi sono comportato in quel modo». Mi si sedette accanto e per un attimo le nostre ginocchia di toccarono, e per me fu come essere attraversato da una scarica elettrica. «Con quella tua confessione mi hai preso alla sprovvista, non sapevo cosa fare, cosa pensare».

«È stato un gesto scorretto da parte mia, ma se n’erano accorti tutti che ti morivo dietro da anni, e tu mi vieni a dire che ti ho colto alla sprovvista? Così offendi la mia intelligenza».

«È la verità, e forse sono più ingenuo di quanto credessi», si giustificò Bill, stringendosi nelle spalle. In quel momento mi sembrò così piccolo e indifeso. «Ammetto, comunque, di aver nutrito qualche sospetto in un paio di occasioni, ma credevo di essermi immaginato tutto. Non potevo chiederti se provavi qualcosa nei miei confronti, qualcosa che andasse oltre l’amicizia, non avrei sopportato l’idea di sentirti ridere di questi miei dubbi».

«Non credi che i tuoi gesti mi abbiano potuto far fraintendere?», lo accusai. «Tutti quegli abbracci, tutti quei baci… non ti è sorto il dubbio che io potessi pensare che ti fossi innamorato di me?».

«Hai perfettamente ragione ma io… non ci vedevo niente di male, non ho proprio ragionato sul fatto che tu potessi pensare… Sono davvero mortificato».

Quella conversazione non stava migliorando le cose, sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene ed ero io a voler scappare via, quella volta.

«Per anni ho vissuto con la speranza che anche tu mi amassi, ed è stata proprio quella a spingermi a volerti confessare tutto, invece sono stato solo un idiota. Non avevo capito un bel niente».

«L’ho fatto», mi disse Bill.

«Che cosa?», domandai, non capendo a cosa si riferisse.

«Amarti…», ammise il moro, osservando con insistenza la punta delle proprie scarpe; era la prima volta che lo vedevo tanto imbarazzato. «Quando ci siamo conosciuti mi ero preso una cotta per te», mi disse con un filo di voce.

La mia bocca si spalancò, e la rabbia venne sostituita dall’incredulità. Ero finito in un programma di candid camera? Perché non era affatto divertente! Stavano giocando con il mio povero cuore, o meglio col buco che aveva preso il suo posto.

«Mi stai prendendo in giro?», scattai, con una nota di nervosismo nella voce.

«Potrei mai farlo? Soprattutto in questo momento».

«Perché non me l’hai mai detto prima?».

«Per lo stesso motivo per cui tu non l’hai fatto», mi rispose Bill, tornando a guardarmi. «Ero terrorizzato tanto quanto te all’idea che la nostra amicizia potesse essere rovinata dai miei sentimenti, a quei tempi non sapevo nemmeno che ti piacevano i ragazzi, e non volevo farti scappare via, così mi sono tenuto tutto dentro, reprimendoli, e mi sono imposto di tenere la bocca chiusa. Dovevo riuscire a provare solo una profonda amicizia per te, e mi ci è voluto un sacco di tempo. Credi che tu sia stato il solo a soffrire perché eri costretto a tenere nascosti i tuoi sentimenti? È per questo motivo che sono sempre stato così affettuoso con te, in un certo senso mi aiutava a lenire le ferite, ma non avrei mai immaginato che si potesse creare una situazione del genere. Spero solo che non sia stato questo mio stupido comportamento a farti innamorare di me, perché mi faresti sentire un vero idiota».

«L’ho capito quando sei partito in vacanza con i tuoi genitori, mi mancavi a tal punto che mi sentivo morire. Ma se le cose stanno così perché mi hai rifiutato?», gli domandai; arrivato a quel punto ero sempre più confuso. Avevo immaginato che Bill lo avesse fatto perché per lui potevo essere solo un amico, ed ora venivo a scoprire che non era così. «Mi hai sempre detto che non vuoi che io soffra, eppure mi hai permesso di provare il tuo stesso dolore, nonostante ci fossi passato prima di me».

«Ho reagito d’istinto», si giustificò, ed io sentii quanto ne fosse dispiaciuto. «Sai, ti do ragione su questo punto: certe volte è meglio lasciarlo perdere l’istinto, perché ti fa commettere degli errori molto stupidi. Non volevo farti star male e, invece, ho finito col peggiorare le cose, ma ti prego di credermi quando ti dico che, in quel momento, non avevo la minima idea di cosa fare. Ero lì con te perché credevo di doverti aiutare e invece scopro che volevi confessarmi i tuoi sentimenti, la cosa mi ha lasciato veramente spiazzato. Una parte di me ne era felice, quella che io avevo represso, ma l’altra era terrorizzata da morire. Avevo paura che tra di noi si spezzasse qualcosa».

«Tu lo sai quanto ci tengo a te», gli dissi, serio in viso, «darei la mia stessa vita se questo servisse a salvare la tua, e so che tu faresti lo stesso, quindi perché credi che le cose non possano funzionare?».

«Ho paura», ammise, abbassando nuovamente lo sguardo. «Capita molto spesso che, quando due migliori amici decidono di mettersi insieme, la magia che c’era tra di loro svanisca e finiscono col lasciarsi. E se succedesse anche a noi? Se la nostra amicizia finisse per sempre? Non immagini nemmeno quante notti insonni io abbia passato pensando a questa eventualità».

«Ricordi la promessa che ti ho fatto?», gli rammentai, e Bill annuì. «Qualsiasi cosa accada io ti resterò accanto, non ti lascerò mai da solo, anche se tra di noi le cose dovessero andar male, saprai sempre dove trovarmi».

«È davvero così strano…», ammise lui.

«Non dirlo a me».

«Non credevo potessi organizzare tutta questa cosa solo per confessarmi i tuoi sentimenti. Ho davvero immaginato che avessi un vero appuntamento, e devo ammettere che, nonostante ne fossi felice, da una parte non lo ero per davvero, temevo… temevo che questo ragazzo potesse portarti via da me, non sapendo che ero io. Oddio…», mormorò, e per un attimo vidi che gli veniva da ridere, ma si trattenne. «Ho detto a me stesso che non dovevo farti soffrire perché, altrimenti, mi sarei cercato in capo al mondo per punirmi. In quel momento devo esserti sembrato un idiota».

«Tutt’altro», gli assicurai, scuotendo il capo. «Non immagini quanto mi abbia fatto sentir bene sentirti dire quelle cose. Dovrei comunque scusarmi per averti mentito».

Bill fece spallucce. «Ti conosco fin troppo bene, e capisco il perché tu l’abbia fatto. Da te non ci si poteva aspettare una confessione ordinaria, quello sì che sarebbe stato strano».

«Anche se così è stato un po’ troppo», mormorai, grattandomi un braccio con imbarazzo.

«Quindi, tu vuoi… vuoi davvero che noi due proviamo a stare insieme… come una vera coppia?».

«Mi piacerebbe, e non immagini quanto, ma con questo non voglio dire che tu debba sentirti in qualche modo obbligato. Che senso avrebbe stare insieme solo perché sono io a volerlo? È una decisione che dobbiamo prendere entrambi. Se pensi che tra di noi ci possa essere solo un’amicizia lo accetterò senza far storia ma non riuscirei comunque a smettere di amarti».

«Mi hai veramente detto ti amo…».

«Ehm… beh sì… l’ho fatto», risposi, rosso per la vergogna. Meglio non dirgli che prima l’avevo detto al mio specchio, almeno una cinquantina di volte, immaginando che fosse lui. «È così assurdo?».

«No, ma nessuno l’aveva mai fatto prima, e sentirlo dire proprio da te è stato una specie di shock».

«Hai avuto dei fidanzati stupidi, era da un sacco di tempo che avrei voluto dirtelo».

«Beh… per fortuna il mio nuovo ragazzo non lo è», disse Bill, arricciando le labbra in un piccolo sorriso.

A me venne un colpo. Il mio cuore tornò al suo posto, ma ora il suo diametro sembrava essersi triplicato di colpo. Non potevo credere alle mie stesse orecchie e per un attimo pensai di darmi un pizzicotto, per essere sicuro che quello non fosse solo un dei miei numerosi sogni ad occhi aperti.

«S-stai parlando di m-me?», domandai, giusto per esserne sicuro.

«Vedi qualcun altro in giro?», mi chiese, ridacchiando della mia evidente stupidità.

«Qui-quindi ora so-sono il tuo ragazzo? Cioè, adesso stia-stiamo insieme?».

«Mh mh», mugugnò lui, arrossendo. Avevo detto che tra di noi ci sarebbe stato dell’imbarazzo, ma quello che stavamo provando era un tipo di imbarazzo molto piacevole. «Vorrei solo che le cose non cambiassero, prima di ogni altra cosa desidero che tu continui ad essere il mio migliore amico».

«Non cambierà niente, hai la mia parola», gli dissi, intrecciando le dita con le sue, per suggellare quella promessa.

«Siamo una coppia», mormorò Bill, frastornato tanto quando me da quella novità. «Se fossimo in un film questa sarebbe la scena finale, e ora i due protagonisti si scambierebbero il fatidico bacio che tutti gli spettatori hanno atteso con ansia».

Le mie orecchie divennero incandescenti; dovevo cogliere l’allusione?

«V-vuoi che io…?», domandai titubante, non volevo mica farci una figuraccia.

«Solo se lo vuoi anche tu…», mi rispose il moro, rosso tanto quanto me.

«Sì, sì, sì che lo voglio!».

Bill scoppiò a ridere. «Allora fallo», mi esortò.

Stavo davvero per baciare il mio migliore amico, o meglio il mio migliore amico che era appena diventato il mio ragazzo, e da oggi in poi non mi sarei più dovuto trattenere, avrei potuto farlo tutte le volte che volevo.

Mi guardai attorno, per essere certo che nessuno dei miei vicini fosse alla finestra, e abbassai le palpebre, avvicinandomi a Bill. Il suo respiro caldo mi lambì il viso quando le nostre labbra si unirono, ma non passò molto tempo prima che io mi staccassi, con la fronte leggermente aggrottata.

«Che succede?», mi domandò Bill, confuso da quel mio gesto, apparentemente senza senso.

«Non so… non è stato niente di che», ammisi, un po’ deluso. «Mi aspettavo qualcosa di più, tipo dei fuochi d’artificio, un coro di angeli, dei violini o magari dei petali di rosa che cadevano dal cielo».

«Violini? Rose?», ripeté il moro, con aria divertita.

«Ehi, ho avuto molto anni per fantasticarci su», mi giustificai, facendo spallucce.

Bill rise di gusto, e la sua risata mi fece vibrare il cuore. Mi afferrò il viso tra le mani e mi baciò con impeto, facendomi quasi sbattere la testa contro il corrimano in ferro battuto.

Il mio piano non era andato come avevo programmato, ma quello era di sicuro il finale migliore che potessi sperare di vivere. Credevo di aver perso per sempre il mio migliore amico, e invece ora potevo gridare al mondo intero che era il mio ragazzo. Mio, solo mio.

Gli avvolsi la vita sottile con le braccia e mi sentii completo. Era tutto perfetto.

Per un attimo mi sembrò di udire qualcuno che si era appena soffiato il naso, ma forse me l’ero solo immaginato. Ciò che non sapevo era che mia madre era rimasta ferma dietro la porta di casa per tutto il tempo, ad origliare la nostra conversazione, e ora stava piangendo come una fontana, felice tanto quanto noi.

Non sapevo che programmi aveva in serbo il futuro per me e per Bill; potevamo festeggiare i nostri novant’anni insieme, oppure lasciarsi la settimana successiva, ma a dir la verità non mi importava più, avevo deciso di smetterla con i dubbi e le incertezze, volevo vivere giorno dopo giorno, godendo dell’amore del ragazzo che amavo, a cui ero libero di mostrare i miei sentimenti senza più alcun timore.

Finalmente anch’io ero uscito dalla friend zone.




Note finali:
Giuro che non scriverò più una one shot per almeno un mese D: è stato un parto podalico, porcaccia la miseria. Capisco il fatto che non scrivevo da tempo immemore, ma passare dal nulla a una roba di 62 pagine e più di 20mila parole… devo darmi una regolata.
A parte tutto, salve :D è un piacere essere tornata. Chi mi segue su FB/Twitter avrà visto i miei continui lamenti sul mio rifiuto di avvicinarmi a un foglio e una penna, mi sentivo proprio male, e la causa di questa mia crisi, la millesima, dipende da LIB, per questo motivo non ho voluto scrivere una os che riguardasse quella serie, anche se in molte avevano pensato il contrario, ma avrei finito col dirvi che postavo per poi ritrattare il giorno dopo. Per un po’ me ne voglio tenere alla larga, ma per il futuro chissà.
Mi son data al romanticismo tormentato, che meraviglia XD ringrazio comunque il programma Friend Zone perché mi ha dato l’ispirazione per scrivere questa lunga, lunghissima os (e devo dire che fino ad ora mi ero fermata a un massimo di 10/15mila parole), ed ho scodinzolato tanto tanto. Ah fatemi fare una premessa: non chiedetemi nessun eventuale sequel della os perché vi dico subito che non ci sarà XD sto lavorando a una long e son ferma al quarto capitolo da quando ho cominciato questa shot, quindi direi che è meglio se mi concentro su quella, altrimenti finirò per postarla nel 2020.
Per chi ha letto Warm Bodies, di Marion Isaac (non ditemi che son stata la sola a farlo), avrà trovato una somiglianza tra la camera della protagonista e quella di Bill, e direi che sì, mi sono ispirata al romanzo per descriverla, perché mi piaceva, niente di più XD
Sinceramente non so se questa shot piacerà o meno, come ogni mia storia non è ‘sta botta di originalità, ma per me è già qualcosa, perché postare dopo tutti questi mesi di nulla più totale è davvero una gioia immensa, quindi non mi fregherebbe nemmeno di ricevere critiche negative XD detto papale papale, io son già contenta così.
Che altro dire? Niente XD quindi chiudo, grazie a chiunque abbia letto :D e alle mie fedeli lettrici che hanno aspettato con molta pazienza che io tornassi a produrre. Peace & Love.

Edited by Redda - 16/4/2013, 17:39
 
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marty rock 97
view post Posted on 17/4/2013, 16:00




Le ho adorate,sia la prima che la seconda parte.Complimenti Redda,come al solito non ti smentisci mai
Ps:Sono così felice che tu sia tornata.Ammetto che mi mancava tantissimo poter leggere qualche tuo altro materiale
 
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Redda
view post Posted on 17/4/2013, 19:32




Ti ringrazio :DD
 
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Vannillicious
view post Posted on 12/6/2013, 22:09




Questa OS ammetto di averla giá letta, ma penso di non averla mai commentata. Ora sono a lavoro (sì, da me sono iniziate le notti di "shopping sotto le stelle" e sono da sola in un negozio piccolissimo fino alle 23 e 30) e dato che non c'è l'ombra di un cane ho riletto la storia e ho anche preso appunti per evitare di dimenticarmi le cose da dire!
Allora, prima di tutto volevo congratularmi per la lunghezza della storia! È un'os, ma è bella lunga e l'ho apprezzato.
Per di più hai uno stile molto riconoscibile e i tuoi Tom sono generalmente attribuibili a te (dico generalmente perchè non è così in tutte le storie, ma nella maggior parte hanno questo lato Sfigatello che fa morir dal ridere e dalla dolcezza) e io amo quando una scrittrice, seppur tratti di argomenti differenti, riesce a far capire che c'è sempre lei dietro la tastiera.
Ho apprezzato tantissimo che Bill non abbia subito dichiarato il suo amore per Tom, sarebbe risultato banalissimo! E il modo in cui si è svolta la scena è stato molto realistico! Tanto di cappello!
Mi è anche piaciuto il modo in cui ha reagito inizialmente Tom quando ha avuto il confronto "finale" con Bill: benchè pensasse di voler salvare la loro amicizia ha reagito rispondendo male all'altro. Atteggiamento che trovo molto verosimile: in molti casi capita di pensare razionalmente a come vogliamo comportarci in determinate situazioni, ma quando ci troviamo in prima persona in quel contesto reagiamo d'istinto facendo cose completamente diverse da quelle programmate.

Quando hai parlato di Grey's anatomy mi hai fatto venire in mente la mia migliore amica e ho riso tantissimo ( so che questa cosa non è inerente al commento della tua storia ma adoro quando le storie mi ricordano dei particolari della mia vita!)

Ci sono solo due pecche nella storia secondo me: in alcuni punti hai confuso la terza persona con la prima persona singolare (ma sono palesemente delle sviste, quindi niente di troppo grave) e poi ho trovato inutile la parte iniziale in cui Tom straparlava del dottore/spacciatore: penso di aver capito il perchè di quello sproloquio -far capire che Tom spesso spara cavolate senza senso- ma per la storia non aveva alcun fine e ho trovato quella parte un po' noiosa. Avrei preferito che avessi fatto straparlare Tom su qualche argomento più inerente agli avvenimenti che lo coinvolgevano con Bill. Non so se mi sono spiegata! Spero di sì!

In generale comunque la storia per me ha molti più aspetti positivi e i "difetti" che ti ho esposto io (sopratutto il secondo dato che è molto personale) passano veramente in secondo piano! Spero posterai presto qualcosa di nuovo :)

Buona serata!

P.s. Spero che il commento sia scritto in italiano, ma sono sull'ipad ed è difficile scrivere!
 
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3 replies since 16/4/2013, 15:48   138 views
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