Baby sitter, NC17 - Twincest not related - AU - PWP - OOC - Lemon - OMC

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Redda
view post Posted on 30/6/2012, 13:55




Titolo: Baby sitter
Autore: Redda
Genere: Erotica
Raiting: NC17
Avvisi: Twincest not related - AU - PWP - OOC - Lemon - OMC - Language



Disclaimer: I personaggi di questa storia non mi appartengono, niente di quello che ho scritto è mai successo e non ci guadagno niente a farlo.

Creative Commons License
Baby sitter by Redda is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

Vietato copiare!







Bill portò alla bocca il ghiacciolo al limone che stava mangiando, e ne staccò un pezzetto con i denti. Quel giorno faceva davvero un gran caldo e non aveva la forza di far niente, a parte stare stravaccato sul divano a guardare la tv, con il condizionatore che dava un po’ di refrigerio alla sua pelle accaldata, asciugandogli il sudore. Nonostante avesse sollevato i capelli in una specie di chignon, il suo collo formò comunque un leggero alone sul bracciolo.

Si succhiò i polpastrelli appiccicosi e spostò lo sguardo verso il tappeto, dove il suo fratellino era intento a giocare con le costruzioni, e sulle labbra gli spuntò un sorriso. Ricordava ancora la sua reazione quando sua madre gli aveva annunciato che presto la loro famiglia si sarebbe allargata; nonostante i suoi quattordici anni, si era dimostrato restio a quella notizia, perché avrebbe significato che tutta l’attenzione dei suoi genitori sarebbe stata rivolta al nuovo arrivato, e lui ne era geloso. Aveva fatto un sacco di storie, comportandosi proprio come un bambino, ma alla fine quando il piccolo Daniel era arrivato le cose erano decisamente cambiate. Nel momento in cui sua madre gliel’aveva poggiato tra le braccia, aveva amato quell’esserino con tutto se stesso e si era sentito così fiero di poter essere il fratello maggiore.

Ora Daniel era tutta la sua vita, nonostante alcune volte rimpiangesse i bei momenti in cui in quella casa c’erano stati solo lui e i suoi genitori. Quel nanerottolo aveva un faccino d’angelo ma era altrettanto furbo, nonostante avesse solo tre anni. Ogni volta che combinava qualche pasticcio faceva ricadere la colpa su di lui, ovviamente i suoi genitori gli davano retta e lui veniva messo in punizione, ma non riusciva mai ad essere veramente arrabbiato con il suo fratellino, perché Daniel entrava sempre nella sua stanza e gli regalava un disegno o uno dei suoi giocattoli per farsi perdonare.

«Biiill», lo chiamò il bambino, sollevando gli occhioni nocciola su di lui. «Vuoi gioca co me?».

«Magari dopo», rispose lui, facendo zapping tra i canali.

Non c’era niente di interessante in tv e la noia cominciava a farsi sentire. Per fortuna arrivò lo squillo del cellulare in suo soccorso; qualcuno gli aveva appena inviato un messaggio. Lo tirò fuori dalla tasca dei jeans e lesse sul display chi era il mittente.

Ciao mio piccolo raggio di sole, che stai facendo?

Bill si mordicchiò il labbro inferiore ed emise un verso simile allo squittio di un topolino. Lo adorava quando lo chiamava con quei nomignoli sdolcinati. Rispose utilizzando una sola mano, visto che l’altra era ancora impegnata a reggere la stecca del ghiacciolo.

Niente di che, mangio un ghiacciolo e guardo la tv

Anch’io avrei un bel ghiacciolo che mi piacerebbe farti leccare


Il moro roteò gli occhi ma non riuscì a trattenere un sorrisino divertito; non si smentiva mai, prima faceva il romantico e un attimo dopo se ne usciva con frasi di quel genere. Non che lui avesse qualcosa da ridire a riguardo, ma ormai facevano quel gioco da due anni.

Tom! Sei il solito pervertito

Lo sai che mi piace quando mi rimproveri. Vuoi punirmi?


Per l’appunto. Tom era fatto così, sapeva essere estremamente dolce e premuroso ma aveva anche la capacità di farti imbarazzare con due semplici parole. Ancora si chiedeva come potesse essere tanto fortunato, insomma ragazzi del genere non piovevano mica dal cielo, come in quella vecchia canzone delle Weather Girls; e dire che lui lo aveva sempre avuto sotto il naso. Si conoscevano dai tempi delle elementari, avevano spesso giocato insieme ma non aveva mai dimostrato grande interesse nei suoi confronti, a dire il vero all’inizio lo aveva trovato anche un pochino antipatico, perché si divertita a fare lo spaccone e gli piaceva pavoneggiarsi. Crescendo le cose avevano cominciato pian piano a cambiare; lui era diventato consapevole della sua attrazione per i ragazzi, ma aveva continuato a non prendere in considerazione Tom. Era l’amico di sempre e poi come avrebbe potuto trovare attraente uno che, fino a pochi anni prima, gli aveva attaccato le caccole tra i capelli? Aveva avuto un paio di fidanzati ma niente di serio, storie di appena qualche mese, che gli erano però servite per aprirgli un mondo tutto nuovo.

Aveva cominciato a guardare Tom con occhi diversi dopo la rottura con il suo secondo ragazzo; non che volesse saltargli addosso appena lo vedeva – ok, qualche pensierino in realtà lo aveva fatto – ma gli era sembrata una cosa piuttosto normale, in fin dei conti a lui piacevano i maschi e il suo amico in quegl’anni era diventato proprio un bel ragazzo, ma la cosa si era fermata lì. Era stato Tom a fare la prima mossa, e lo aveva lasciato spiazzato, anche perché era sempre stato convinto del fatto che fosse etero, insomma era lui quello che alle elementari si divertita a spiare sotto le gonne delle bambine, come poteva immaginare che, in realtà, le cose fossero ben diverse?

Una sera erano usciti per incontrarsi con degli amici, e a fine serata avevano percorso la strada di casa insieme, come avevano sempre fatto, visto che vivevano a poca distanza l’uno dall’altro. Ricordava ancora che stava parlando del compito che avevano svolto quella mattina, quando all’improvviso Tom lo aveva spinto contro il muretto di un’abitazione lì accanto e lo aveva baciato, come se niente fosse, usando la scusa del voler sapere cosa di provava a baciare un altro ragazzo. C’è da dire che dopo quel giorno aveva voluto provare un sacco di altre volte, fino a quando non si erano messi insieme, ed era stata una cosa talmente naturale; se gliel’avessero detto qualche anno prima avrebbe riso a quell’ipotesi, reputandola irreale, e invece era successo. Un attimo prima litigavano per una macchinetta e l’attimo dopo lo sentiva dirgli che lo amava. Alle volte il destino è proprio bizzarro, ma doveva comunque ringraziarlo, perché gli aveva dato un fidanzato del genere.

Per lui era la reincarnazione stessa della perfezione: era bello (esageratamente bello), simpatico, dolce, lo faceva ridere un sacco, e poi era passionale, malizioso e sexy. Insomma aveva ricevuto un gran bel bacio dalla dea bendata, non poteva lamentarsi.

Forse… magari potrei legarti e darti un sacco di frustate

Fallo!


Bill scoppiò a ridere, attirando l’attenzione del suo fratellino.

«Pecché ridi?», gli domandò, inclinando appena la testa.

«Ho letto una battuta divertente», mentì, mentre rispondeva al suo fidanzato.

Sei proprio un porcellino

Stasera ci vediamo, non accetto un no come risposta. Ho tutta l’intenzione di avere un paio di incontri molto ravvicinati con il tuo bel culetto

Tutto questo romanticismo mi fa arrossire… Non so se mi va…

Se verrai ti prometto che te lo succhio


Questa volta arrossì per davvero, ma dall’imbarazzo. Faceva ancora più caldo di prima e si ritrovò a sventolarsi il viso con la mano, ma non poté far niente contro i crampi allo stomaco; gli stessi che lo facevano contorcere quando Tom gli proponeva di fare sesso via sms. Era addirittura stato costretto a mettere una password per impedire che qualcun altro li leggesse, perché erano davvero poco pudichi.

Vengo solo perché so che senza di me ti sentiresti triste e solo

Ho proprio un fidanzato amorevole. A più tardi, non vedo l’ora…


Aveva decisamente bisogno di fare una doccia fredda per calmare i suoi bollenti spiriti. Si alzò di scatto dal divano e corse su per le scale, rischiando di travolgere sua madre, che dovette aggrapparsi al corrimano per impedire che tutti e due facessero un capitombolo.

«Quanta fretta, per caso è scoppiato un incendio in salotto?», gli domandò, in tono divertito.

«Volevo solo andare a fare una doccia», rispose in tono sbrigativo.

«Bill, già che sei qui, devo chiederti un favore».

Osservò l’espressione di sua madre e capì che non si trattava di niente di buono; aveva già una vaga idea di cosa stava per chiedergli ma pregò che le sue supposizioni fossero errate, almeno per quella volta, e che il suo favore consistesse solo nell’andare a comprare qualche dolcetto al supermercato.

«Tuo padre ed io questa sera dovremmo…».

«Oh mamma!», si lagnò lui, senza darle il tempo di terminare la frase; il suo sesto senso non sbagliava mai. «Non puoi chiedere alla vicina di badare a Dani?».

«Tesoro ha ottant’anni», gli ricordò Simone, scompigliandogli amorevolmente i capelli. «Non riuscirebbe a star dietro alla sua esuberanza, lo sai bene».

«Perché devo essere io a farlo?», borbottò, gonfiando le guance.

«Perché fa parte dei tuoi doveri di fratello maggiore», gli disse sua madre, arricciando le labbra in un sorrisino.

«È un vero schifo!», commentò, incrociando le braccia al petto.

«Non costringermi ad usare la tua paghetta per convincerti a farlo», lo minacciò bonariamente.

«Sei davvero ingiusta!», esclamò, aggrottando la fronte. «Avevo già detto a Tom che ci saremmo visti più tardi ed ora mi costringi a disdire».

«Tu e Tom potrete uscire domani, e poi puoi sempre dirgli di venire qui», gli suggerì sua madre. «Dani lo adora».

In verità non era esattamente così, tra il suo ragazzo e il suo fratellino c’era un rapporto di odio e amore, si poteva dire che erano gelosi l’uno dell’altro, e facevano a gara per attirare la sua attenzione. Era successo tante volte che Daniel si fosse dimostrato carino nei confronti di Tom, con il solo scopo di tirargli poi i capelli, dargli qualche calcio o infilargli le dita nel naso per il semplice gusto di fargli un dispetto. A lui piaceva molto vederli giocare insieme, era una scena dolcissima, che durava al massimo cinque minuti.

«Ok…», mugugnò; era comunque arrabbiato, ma almeno avrebbe passato in ogni caso la serata in compagnia di Tom.

«Sei un angelo», gli disse sua madre, baciandogli la fronte.

Simone scese le scale e raggiunse il suo secondogenito in salotto, ancora intento a giocare.

«Dani, questa sera Bill resterà a casa solo per te, sei felice?».

Mentre saliva al piano di sopra sentì il suo fratellino battere le mani con entusiasmo. Entrò dentro la sua stanza, che da un anno ormai condivideva con Daniel, e si buttò sul letto. Doveva chiamare Tom e avvisarlo di quel cambio di programma non previsto; digitò il suo numero e accostò il cellulare all’orecchio.

«Non riesci a non sentirmi per più di cinque minuti?», gli domandò il ragazzo, dopo aver risposto.

«In verità ti ho chiamato per dirti che stasera non posso uscire».

«Che cos’è successo?», chiese Tom.

«Mamma vuole che resti a casa a fare da baby sitter a Dani», gli spiegò, in tono dispiaciuto.

«Non potevi rifiutare? Quel piccolo demonio è grande abbastanza da poter restare a casa da solo».

«Non essere sciocco», lo rimproverò, senza riuscire a trattenere una risatina. «Mi ha detto che, se ti va, puoi venire».

«Non rientrava nei miei piani passare la serata a farmi prendere a calci», rispose ironico.

«Ma ci sono io», gli disse, abbassando di proposito il tono della voce. «Mi sentirei al sicuro se ci fossi anche tu qui con me».

Sentì Tom respirare pesantemente contro il microfono, segno che le sue parole avevano sortito l’effetto desiderato; gli piaceva un sacco quando fingeva di interpretare la parte della donzella in pericolo.

«Dimmi a che ora».

«Alle nove andrà benissimo», rispose, con un gran sorriso. «Ci vediamo più tardi».

«Non così in fretta», gli disse il moro, prima che Bill potesse chiudere la telefonata. «Voglio essere ricompensato».

«Se farai il bravo», gli disse lui, con una nota di malizia, «potrei prendere in seria considerazione la cosa».

Decise comunque di fare una doccia prima dell’arrivo del suo fidanzato, ci teneva a farsi carino e poi gli piaceva da morire quando Tom gli diceva che era bellissimo o si incantava a guardarlo, la sua piccola anima da narcisista faceva le fusa come un gatto.

Non era sempre stato così sicuro di se stesso; c’era stato un periodo in cui si era sentito inadeguato dentro il proprio corpo. Quel suo essere alto e dinoccolato, durante il primo periodo dell’adolescenza, era stato fonte di grande imbarazzo per lui. Nonostante superasse gli altri di diversi centimetri, la sua eccessiva magrezza lo aveva fatto sembrare molto fragile, e questo lo aveva reso una preda perfetta; veniva spesso schernito dai suoi compagni di classe, praticamente ogni giorno. Crescendo, però, aveva imparato a valorizzare se stesso, rendendosi più interessante agli occhi degli altri, che avevano cominciato a trattarlo in modo più normale; ovviamente le prese in giro non si erano placate, erano solo diventate diverse e forse più offensive, ma aveva imparato a non darci più peso del dovuto.

Recuperò un cambio di biancheria e occupò il bagno; era un bene che i suoi ne avessero un altro nella loro stanza, perché tendeva ad impossessarsene per diverse ore, e questo solo per andare a scuola, quando doveva uscire con Tom le ore raddoppiavano.

Si spogliò e, una volta nudo, osservò la propria immagine nello specchio verticale. Sfiorò con la punta delle dita il tatuaggio che gli ornava il basso ventre e risalì poi verso l’alto, fino al piercing che aveva fatto al capezzolo sinistro. Quello era stato una specie di regalo per il suo fidanzato, e Tom lo aveva ben gradito. Gli piaceva leccarlo e stringerlo tra i denti, e il solo pensare alla sua lingua che stuzzicava quel cerchietto di metallo gli provocò un leggero brivido lungo la schiena.

Si avvicinò al box doccia e aprì una delle ante per regolare la temperatura dell’acqua; quando fu certo che non fosse troppo calda, si mise sotto il soffione e sentì i suoi capelli appiccicarsi alla schiena e al collo. Si lavò con cura e scelse un balsamo particolarmente profumato; nel frattempo versò un po’ di bagnoschiuma sopra una spugnetta e la passò delicatamente sopra la propria pelle, infine di sciacquò.

Avvolse un asciugamano attorno alla vita e aprì la finestra, disperdendo il vapore venutosi a creare. Ripulì lo specchio e utilizzò un secondo asciugamano per frizionarsi i capelli, in quel modo ci avrebbe messo meno tempo ad asciugarli.

Creò una specie di turbante sopra la sua testa e passò in rassegna le varie creme per il corpo; ne aveva più lui di sua madre, e alle volte lei veniva addirittura a chiedergliele in prestito.

Per Simone, Bill era stato una specie di dono; aveva sempre desiderato una femmina perché, come ogni mamma, non vedeva l’ora di riempirla di vestitini e farla assomigliare a una bambola. Non che trattasse suo figlio come una bambina, ma quel suo lato femminile le aveva comunque permesso alcune libertà; era stata lei ad insegnargli a truccarsi, e alle volte era lo stesso Bill a chiederle di fargli la piastra, perché sapeva che quei piccoli gesti la rendevano felice.

Idratò per bene il proprio corpo, fino a quando la crema non fosse stata ben assorbita dalla pelle, e controllò che le sue gambe fossero ancora ben lisce. Quello era un aspetto di sé che proprio non sopportava; essere un ragazzo equivaleva ad avere una quantità sproporzionata di peli, che lui riteneva repellenti. Aveva posto rimedio a quel problema utilizzando la ceretta e radendosi praticamente tutti i giorni il viso. Capitava, certe volte, che fosse talmente svogliato da non volersi avvicinare al rasoio, e quando sua madre lo vedeva con la barba incolta gli diceva che non sembrava nemmeno lui, e che a stento lo riconosceva. Tom aveva provato a dissuaderlo dal sottoporsi a quella tortura ogni mese, perché sapeva bene che stava con un ragazzo e certe cose erano più che normali, dato che anche lui era un maschio, ma si era categoricamente rifiutato di assomigliare a una scimmia.

Dopo aver asciugato i capelli, accese la piastra e uscì dal bagno; avrebbe approfittato dei pochi minuti che occorrevano alle piastre in ceramica per scaldarsi per scegliere cosa indossare.

«Ci stai tenendo una conferenza lì dentro?», gli domandò suo padre, affacciandosi alla porta della camera.

«Mi sto solo preparando», rispose lui, facendo spallucce.

«E per fortuna che devi stare in casa!», disse Gordon, divertito.

Bill gli mostrò la lingua e recuperò una maglia dall’armadio, era rossa e sulla parte frontale erano stati stampati dei kanji di colore nero.

«Hai bisogno di aiuto con i capelli?», gli chiese, osservandolo. «Se vuoi posso sistemarteli con la piastra».

«Tieni quella diavoleria lontana da me!», esclamò Gordon, defilandosi velocemente da lì.

Il moro ride e poggiò la maglia sul proprio letto, insieme a un paio di jeans blu scuro, che avevano alcuni strappi, e optò infine per un comodo paio di scarpe da ginnastica. Dopo aver controllato che l’accostamento non stonasse, tornò in bagno e si allisciò i capelli, con un’attenzione quasi maniacale; non doveva essercene uno fuori posto. Quando fu soddisfatto del risultato vi mise sopra i cristalli liquidi, in modo che non diventassero elettrici e rimanessero morbidi al tatto.

L’ultima fase era dedicata al trucco. Sua madre lo avvisò che sarebbero usciti subito dopo aver dato da mangiare a Daniel, quindi non aveva molto tempo. Non fece niente di troppo complicato, si limitò a quello che lui definiva il trucco “da tutti i giorni”: una base, eyeliner, rimmel e infine matita nera dentro e sotto gli occhi; cercò comunque di essere il più accurato possibile, doveva pur sempre fare una buona impressione al suo fidanzato.

Quando scese al piano di sotto, dopo essersi vestito, vide che i suoi genitori stavano indossando i soprabiti.

«Sai bene quali sono le regole di questa casa», gli rammentò suo padre, mentre si sistemava il colletto. «Rispettale e non ci saranno conseguenze. E ricorda a Tom che può restare fino a mezzanotte, a mezzanotte e un minuto deve già essere fuori dalla porta, siamo intesi?».

«Sì papà», rispose lui, roteando gli occhi verso il soffitto.

«I nostri numeri li hai, quello della signora Franke è sul frigorifero, insieme a quello delle emergenze. Non tenere Daniel in piedi fino a tardi e cerca di regolare il volume della tv», gli disse sua madre. «Noi torneremo quanto prima».

«Sta’ tranquilla, non daremo fuoco alla casa e i vicini non saranno costretti a chiamare la polizia».

«Fate i bravi», si raccomandò, baciando suo figlio sulla guancia. «Dani, mamma e papà escono, ubbidisci a Bill e non farei i capricci».

«Tao», la salutò il bambino, intento a smangiucchiare un biscotto Plasmon.

Bill chiuse la porta e si voltò verso il suo fratellino, che lo stava fissando, con la bocca sporca di briciole.

«Che vuoi fare?».

«Cattoni», gli rispose, correndo verso il salotto. Si sedette sul tappeto, proprio di fronte alla televisione. «Cattoni! Cattoni!».

«Ok, ho capito».

Raggiunse la piccola teca dov’erano conservati tutti i dvd e prese quello della Carica dei 101; era il film preferito di Daniel, conosceva le battute quasi a memoria. La passione per i cani era un tratto che avevano in comune.

Inserì il disco nel lettore e recuperò il telecomando, che si trovava sopra l’apparecchio; impostò la lingua e cliccò sul tasto play. Daniel batté le mani con entusiasmo e prese a succhiarsi il pollice, con gli occhietti incollati allo schermo.

Bill si sedette sul divano e controllò l’ora sul display del cellulare, mancava poco alle nove.

«Dani, Tom verrà a farci compagnia, sei contento?».

«No», rispose il bambino, con una sincerità disarmante. «Tom è butto».

«Sono sicuro che ti porterà un regalino», gli disse, in modo che suo fratello non rendesse quella serata un vero inferno.

Daniel fece spallucce e continuò a guardare il film, e alla fine anche lui si ritrovò a seguirlo, giusto per ingannare il tempo, in modo da non annoiarsi.

Fece un piccolo salto sul divano quando sentì il trillo del campanello; Tom doveva essere arrivato, ma prima di andare ad aprire corse in cucina e prese una confezione di caramelle gommose dallo scaffale. Lui e Daniel ne andavano matti e Tom sarebbe riuscito ad ingraziarsi il suo fratellino.

Si diede una rapida controllata allo specchio che si trovava nell’ingresso e, dopo aver constatato che trucco e capelli fossero ancora in perfetto ordine, aprì la porta.

Prima che Tom avesse il tempo di dirgli qualcosa, gli porse la confezione di caramelle e lo vide sbattere le palpebre con aria confusa.

«Dalle a mio fratello», bisbigliò, facendosi poi da parte per lasciarlo entrare in casa. «Dani, guarda chi è arrivato».

«Ehi nanetto, ti ho portato un regalo».

Il bambino si alzò in piedi e li raggiunse, fermandosi di fronte a Tom. Prese la busta delle caramelle con entrambe le mani e la osservò con attenzione, successivamente sollevò lo sguardo su di lui e gli sorrise. Per un attimo pensò che il piano di Bill avesse funzionato, ma Daniel gli diede un calcio sulla caviglia e tornò al suo film.

«Simpatico come sempre», commentò con evidente sarcasmo.

«Non te la prendere, in fin dei conti è solo un bambino. Con il tempo imparerà ad accettarti», gli assicurò Bill, facendogli un sorriso.

«Certo, quando sarà nella tomba», replicò lui, storcendo le labbra in una smorfia.

Il moro ridacchiò e gli cinse il collo con le braccia, un attimo dopo sentì le mani di Tom poggiarsi sui suoi fianchi.

«Povero il mio tesoro», gli disse, facendo sfregare le punte dei loro nasi.

Tom approfittò di quella vicinanza per afferrargli il labbro inferiore con i denti, succhiandolo poi dentro la propria bocca. Generalmente preferiva evitare simili effusioni in presenza del suo fratellino, ma per un attimo si scordò della sua presenza, e lasciò che il moro lo attirasse in quel bacio.

«Che chifo!», esclamò il bambino.

Bill si staccò e vide che il suo fratellino era proprio lì accanto a loro, e li fissava con il nasino arricciato in una smorfia.

«Credo che sia meglio limitarci», disse al suo fidanzato, facendo una carezza sul capo di Daniel.

«Mi stai dicendo che per il resto della serata non potrò nemmeno guardarti?», gli chiese piuttosto scocciato, inarcando un sopracciglio.

«Non intendevo questo, non essere così drastico», rispose lui, roteando gli occhi verso l’alto.

«Non era così che pensavo di trascorrere la serata, avevo altri piani in mente».

«Quando ti ho chiesto di venire che idea di sei fatto?».

«Beh…», disse, lasciando in sospeso la frase, ma quel semplice “beh” era piuttosto allusivo.

«Tom!», esclamò il moro. «Qui in casa mia?».

«È già successo», gli rammentò lui, scrollando le spalle. «Sulle scale, nella camera dei tuoi… E poi sei stato tu a farmi intendere che avremmo fatto roba, quindi non darmi tutta la colpa».

«Ma c’è Daniel», ci tenne a ricordargli, perché era evidente che il suo ragazzo sembrava aver omesso quel particolare.

«E allora?», replicò Tom. «Imparerà prima degli altri».

«Non fare lo stupido. Ora finiamo di vedere il film», disse, spingendo Daniel verso il soggiorno.

«Ach’io voio fae roba», disse il bimbo, senza realmente capire di cosa stessero parlando quei due, ma forse intendevano qualcosa di divertente.

«Ecco, hai sentito? Se lo va a dire a mia madre scordati di vedermi per i prossimi vent’anni, lei capirà subito a cosa ti stavi riferendo», borbottò e cercò di distrarre il suo fratellino, in modo che non pensasse più a ciò che aveva detto Tom.

«Stupido moccioso rompiballe», mugugnò, prima di raggiungerli.

Aveva pensato che Bill gli avesse chiesto di andare lì da lui perché non voleva rinunciare al loro programma per quella sera, non aveva di certo l’intenzione di fare il baby sitter a quel demonio coi ricci. Era determinato ad ottenere ciò che voleva e non sarebbe stato un bambino di tre anni a farlo demordere.

Si accomodò sul divano accanto al moro, il più vicino possibile, visto che Daniel aveva il brutto vizio di colmare lo spazio che li divideva con la sua scomoda presenza.

«Non mangiare tutte quelle caramelle», si raccomandò Bill, da bravo fratello maggiore. «Altrimenti ti verrà il mal di pancia».

«Tì», cantilenò il bambino, muovendo i piedini a ritmo di musica.

Approfittando del fatto che Daniel stesse dando loro le spalle, Tom tentò un nuovo approccio. Fece scivolare un braccio sulla spalliera del divano e cominciò a fare i grattini dietro l’orecchio del suo fidanzato; era sempre un buon metodo per farlo cedere. Di fatti lo vide socchiudere le palpebre e dalle sua labbra sfuggì un sospiro di piacere.

Quando gli sembrò abbastanza “mansueto”, avvicinò il viso al suo collo e cominciò a depositarvi dei leggerissimi baci, che per Bill equivalevano a delle scariche elettriche capaci di fargli scuotere le ossa.

«Tom…», mormorò. Avrebbe voluto dirgli che doveva smettere, ma il suo cervello si rifiutò di collaborare.

«Shh».

Gli piaceva quando Bill usava quella particolare crema, dava alla sua pelle un profumo delizioso, tanto da provocargli dei leggeri crampi allo stomaco. Vi sfregò contro il naso, inspirando a pieni polmoni, e successivamente passò ad assaggiarlo. Tirò fuori la lingua e la fece scorrere lungo il suo collo, fino ad arrivare sotto il lobo. Quel piccolo lembo di pelle era uno dei suoi punti più sensibili, di fatti gli bastava morderlo o succhiarlo per far sì che il sangue cominciasse a ribollirgli nelle vene.

Lo sfiorò appena con la punta della lingua e sentì Bill fremere al suo fianco. Il moro cercò di allontanarlo da sé ma con scarsi risultati; le sue mani si aggrapparono alla sua maglia, e questo gli fece ben intendere che non doveva fermarsi.

Bill dischiuse le labbra, per poter così respirare attraverso la bocca, visto che gli serviva una doppia razione di aria, e si sentì ad un passo dall’estasi quando il suo lobo finì dentro la bocca del moro. Sentire la sua lingua calda e umida sulla pelle gli fece contorcere le viscere. Se solo non ci fosse stato Daniel in quella stessa stanza, a quell’ora ci sarebbero stati loro su quel tappeto, ovviamente nudi; ma voleva preservare la purezza del suo fratellino per almeno un’altra decina d’anni, c’era però da dire che Tom non gli facilitava di certo il compito.

Il ragazzo insinuò una mano sotto la sua maglietta e prese a graffiargli la schiena, senza però fargli male; questo fece vacillare ulteriormente i suoi buoni propositi. Gli piaceva quel contatto, la sensazione delle sue mani sul corpo lo faceva vibrare come una corda di violino. Trovava estremamente sexy le vene in rilievo sui suoi dorsi, e poi erano sempre così calde. Un confronto tra le loro mani era impensabile; le sue erano pallide, e quel pallore persisteva per dodici mesi l’anno. Avevano una linea più sottile rispetto a quelle del suo ragazzo e le unghie, che era solito portare lunghe, le rendevano affusolate, e di conseguenza risultavano femminili. Quelle di Tom invece, beh… si poteva tranquillamente dire che gridavano “sesso!”, come ogni altro singolo centimetro del suo corpo.

Intanto Tom aveva ben pensato di approfittare del fatto che Bill non indossasse la cintura, ed era un bene che in casa preferisse portare jeans un po’ più larghi, vista la sua predilezione per gli skinny, ma se avesse avuto quelli indosso non sarebbe riuscito a fare ciò che aveva in mente.

Oltrepassò il bordo e insinuò le dita dentro i suoi boxer, lasciando poi scivolare il medio verso la sua apertura, che prese a stuzzicare con il polpastrello, cercando di forzarla leggermente.

Bill si ritrovò a spalancare gli occhi e a mordersi con forza il labbro inferiore, nel tentativo di non attirare l’attenzione del suo fratellino, che, all’oscuro di quanto stava accadendo su quel divano, continuava a guardare il film e a mangiare le caramelle.

D’istinto prese a muoversi contro il dito di Tom, nel tentativo di spingerlo al suo interno, e il suo ragazzo accettò di buon grado quella sua richiesta. Superò quel piccolo cerchio fatto di muscoli e cominciò a muoversi al suo interno; Bill afferrò uno dei cuscini e se lo premette sulla bocca, gemendoci contro. Era sbagliato, così immensamente sbagliato, ma non voleva che si fermasse, anzi avrebbe solo voluto essere toccato più a fondo.

Sentì Tom afferrarlo per il polso e la sua mano finì tra le sue gambe. I jeans non gli impedirono di sentire la durezza della sua erezione sotto le dita; in quel modo lo aveva voluto rendere partecipe del fatto che era riuscito a farlo eccitare senza nemmeno toccarlo. Quasi volesse ricompensarlo, premette il palmo contro quell’evidente rigonfiamento e sentì il moro gemergli contro l’orecchio. Per lui non esisteva al mondo un suono più sensuale, a parte il modo in cui Tom pronunciava il suo nome mentre stava venendo, quello lo faceva letteralmente impazzire.

Sfregò le nocche contro la linea della cerniera, ma nel momento in cui avvertì che un secondo dito del moro era scivolato verso la sua apertura, capì che avevano considerevolmente oltrepassato il limite, al quale non si sarebbero nemmeno dovuti avvicinare.

Con una grande forza di volontà afferrò la mano del suo fidanzato e la sfilò via dai suoi jeans. Lo vide aggrottare leggermente le sopracciglia; non gradiva essere interrotto in simili momenti. Le poche volte in cui era stato lui a farlo, Tom gli aveva tenuto il muso per giorni, proprio come un bambino.

«Che ti prende?».

«Non possiamo», gli sussurrò, indicando Daniel con un cenno del capo.

«Non si accorgerà di nulla», gli assicurò, mentre cercava di riavvicinarsi. «Tu rilassati, penserò a tutto io».

«Ti ho detto di no», replicò in tono perentorio, poggiandogli una mano sul petto per tenerlo a distanza.

«Billi», lo chiamò all’improvviso Daniel.

«Che c’è piccolino?».

«Voio i latte», disse, voltando il capo verso di lui per poterlo osservare.

«Te lo preparo subito».

Usò quella scusa per potersi allontanare da Tom, in quel modo avrebbe avuto il tempo di far placare i suoi ormoni impazziti, ne aveva davvero bisogno. Non poteva lasciarsi andare a simili atteggiamenti in presenza di un bambino di tre anni, che razza di fratello maggiore era? Forse aveva sbagliato a chiedere a Tom di andare da lui quella sera, perché gli risultava difficile stare nella stessa stanza in cui si trovava il moro senza provare l’impulso di strappargli i vestiti di dosso. Era stato uno sciocco.

Doveva evitare ogni possibile contatto con lui, anche il più banale, perché in una circostanza del genere gli sarebbe bastata una sola occhiata del suo ragazzo per farlo vacillare. Quelle sue meravigliose iridi nocciola avevano il potere di piegarlo al volere del loro proprietario.

Aprì lo sportello del frigorifero e si piegò leggermente per controllare dove fosse la brocca del latte. L’aveva appena presa in mano quando sentì qualcosa afferrarlo saldamente per i fianchi; sollevò di scatto la schiena e voltò il capo, ritrovandosi il viso di Tom ad un palmo dal naso. Sentì distintamente il tremolio che gli fece scuotere le ginocchia, e non di certo a causa della paura.

«Mi hai spaventato! Che ci sei venuto a fare qui?».

«Non mi piace quando mi viene negato qualcosa, lo sai benissimo».

«Non ti sto chiedendo poi molto». Sbuffò, roteando gli occhi al soffitto. «Lo fai sembrare uno sforzo disumano».

Fece per allontanarsi, ma la presa di Tom era ferrea e non lo fece muovere di un solo centimetro; gli si incollò alla schiena e si strusciò contro il suo sedere, in modo lento. Le sue dita rischiarono di mandare la brocca in mille pezzi.

«Voglio scoperti», gli sussurrò all’orecchio, lasciando che il piercing che aveva al labbro gli sfiorasse la cartilagine.

«Tom… per favore…», gli disse lui, ma la sua voce non era più tanto sicura.

«Facciamolo qui», propose suadente, dandogli un piccolo morso. «Voglio scoparti sul tavolo dove ceni con la tua famiglia, così, ogni volta che ti ci siederai, penserai a me mentre ti faccio gridare».

Gli bastò immaginare una scena del genere per lasciarsi scappare un gemito. Doveva calmarsi, ma le pulsazioni che sentì all’altezza dell’inguine gli fecero ben intendere che il suo corpo non aveva alcuna intenzione di starlo a sentire. Voleva Tom, questa era la realtà.

«Non… non possiamo farlo qui… Daniel…», gli disse, con il fiato corto.

«Metti a letto il moccioso».

«Finché ci sarai tu non ci proverà nemmeno a dormire».

«Bill…». Gli sbottonò il bottone dei jeans e abbassò la cerniera lampo; infilò una mano al loro interno e prese ad accarezzare il suo membro attraverso il tessuto dei boxer. «Trova una soluzione, mh?».

«Dio…», gemette il moro, e questa volta fu costretto a poggiare la brocca sul mobile della cucina. Il suo ultimo neurone razionale era appena stato abbattuto. Si aggrappò alla maniglia del freezer e socchiuse le palpebre, concentrando tutta la sua attenzione sui movimenti di Tom.

«Lo farai?».

«S-sì…».

«Non ho ben capito». Fece scivolare la mano un po’ più in basso, e strinse i suoi testicoli tra le dita. «Ti ho chiesto se lo farai».

«Merda!». Sgranò gli occhi, ritrovandosi senza fiato. Tom aveva dei metodi infallibili per ottenere ciò che desiderava, bisognava riconoscerglielo. «Sì, sì, sì, lo farò!».

«Ne sono felice».

Bill sperò che ponesse fine a quella piacevole tortura, lasciandolo andare, ma il moro non sembrava avere alcuna intenzione di allontanarsi, e continuò a lavorare sul suo membro, come un aguzzino che si divertiva a “giocare” con la sua vittima, nonostante fosse ormai agonizzante ai suoi piedi, senza mostrare un briciolo di pietà nei suoi confronti.

Lo sentì scostargli i capelli e fece scorrere la lingua dietro il suo collo, fino all’attaccatura; fu come essere attraversato da una scarica elettrica. Ogni singola fibra del suo corpo bruciava dalla voglia di sentirlo dentro di sé.

Poggiò il capo contro la spalla del suo fidanzato e ansimò pesantemente; il suo cervello era ormai in uno stato di totale black-out. Tom gli poggiò un dito sulle labbra e ne ridisegnò i contorni. Una delle prime cose che gli aveva confessato, dopo essere diventati una coppia, era che aveva sempre pensato che la sua bocca fosse bellissima, e, nel momento in cui era diventato un adolescente con gli ormoni impazziti, quel bellissima era diventato sexy. Nei momenti di intimità con se stesso era venuto un sacco di volte immaginando di sentirsele addosso, e non c’era stato il bisogno di specificare in quale particolare punto.

Per lui fu istintivo dischiudere le labbra e accoglierlo al suo interno, fino alla base. Lo succhiò con veemenza, facendo poi roteare la lingua attorno al polpastrello. Sentì Tom spingersi maggiormente contro il suo sedere e avvertì che anche il suo respiro si era fatto più pesante, segno che, probabilmente nel giro di cinque minuti, lo avrebbe spogliato e scopato su quello stesso pavimento.

E, dato che per lui quel semplice succhiargli il dito non era abbastanza, prese a strusciare le natiche contro il suo inguine, e udì un ringhio scaturire dalla sua gola. Non poté trattenersi dal distendere le labbra in un sorriso di pura soddisfazione.

«Bill», disse tra i denti.

«Mi vuoi?», gli domandò lui, facendo scorrere la pallina del piercing lungo la pelle che ricopriva la falange.

«Dio, non immagini nemmeno quanto io ti desideri in questo momento».

«Vuoi scoparmi?», continuò, soffiando contro la propria saliva, che ancora luccicava sul dito del moro.

«Nella mia testa lo sto già facendo», ammise, sogghignando divertito.

«E mi scoperai forte?», gli chiese, con un tono di finta innocenza, che proprio non si addiceva a quel momento.

«Mi implorerai di smettere», gli rispose, abbassandogli appena il bordo dei boxer per poter sfiorare la punta del suo membro con il pollice. «Ed io non lo farò…».

Gemette appena e voltò il capo, leccando il labbro inferiore del suo ragazzo.


«Billi?».

Ripiombò di colpo nella realtà in cui c’era anche suo fratello in quella casa, o meglio in quella cucina. Per un attimo lo aveva completamente rimosso dai propri pensieri, ma come dargli torto? Chi penserebbe ad un bambino di tre anni quando hai il tuo ragazzo che ti tocca in quel modo, e vorresti solo che ti sbattesse contro il frigorifero? Era del tutto giustificato.

«Che fate?», gli chiese Daniel, fermo sulla porta.

«I-io…». Non riuscì a formulare una frase di senso compiuto.

Tom pensò bene di rendergli le cose ancora più complicate aumentando la velocità della sua mano. Fu costretto a fingere un attacco di tosse per celare il gemito che gli era scaturito dalla gola, anche se Daniel era troppo piccolo per capire a cosa fosse ricollegato quel verso, ma voleva evitare ulteriori domande.

Prese il moro per il polso e gli diede un colpo con il sedere, costringendolo ad allontanarsi da sé.

«Tom… lui mi stava aiutando a cercare il latte», gli disse, voltandosi verso di lui, con un sorriso stirato sulle labbra.

«Hai le guace tutte rotte», gli fece notare il bambino. «Hai la febbe?».

«No, ho solo un gran caldo». In pratica stava andando a fuoco. «Hai finito di guardare il film?».

«No lo voio più, voio tare co te».

Non era il momento migliore per avere la compagnia del proprio fratellino. Vide Tom lanciargli una lunga occhiata, piuttosto eloquente, e si torturò il labbro con i denti; era impaziente quanto lui, se non di più. Per fortuna le tenebre dentro il suo cervello si dissiparono, e gli si accese una lampadina; aveva appena avuto un’idea geniale.

«Ti va di fare un bel gioco?», gli propose.

«Tììì», rispose con entusiasmo il bambino. «Che gioco?».

«Si chiama nascondino. Mentre io conto tu ti vai a nascondere e devi restare lì fino a quando non ti trovo. Ok?».

«Tì, tì, tì, giochiamo».

«Però dev’essere un bel nascondiglio, mi raccomando. Se riuscirai a non farti trovare, domani, come premio, ti comprerò un gelato grandissimo».

«Saò bavissimo!», gli assicurò Daniel, con gli occhi che brillavano per la felicità.

Gli dispiaceva veramente un sacco prenderlo in giro in quel modo, ma si sarebbe fatto perdonare.

«Vai ora, così io posso cominciare a contare».

Il bambino emise un verso simile ad uno squittio e corse fuori dalla cucina. Bill si avvicinò allo stipite della porta e, senza farsi scoprire, lo osservò cercare un nascondiglio. Lo vide salire gli scalini uno alla volta e scomparire poi dietro l’angolo del corridoio al piano di sopra.

«Uno», contò, facendo cenno a Tom di seguirlo. «Due. Tre».

Salirono a loro volta le scale e dovette trattenere il suo fidanzato per la maglia, impedendogli di mettersi a correre. Tom lo spinse contro la parete e incollò la bocca al suo collo, mordendolo con forza; Bill gemette ma non dal dolore.

«Quattro. Cinque», continuò con voce malferma, mentre il moro aveva preso a sollevargli la maglia, scoprendogli il ventre. Lo esortò a continuare a camminare, altrimenti l’aver partorito quel piano non sarebbe valso a niente, ma non sembrava volergli dare ascolto, preso com’era dal tastargli il sedere con evidente trasporto. «Sei. Sette». Dovette pizzicargli un braccio e indicargli con un cenno della mani la cima delle scale. Lo sentì sbuffare contro il suo collo e finalmente si scostò, finendo di salirle da solo. «Otto. Nove. Dieci. Sto venendo a cercarti!», disse ad alta voce, in modo che il suo fratellino potesse sentirlo.

Raggiunse il corridoio del piano superiore e, non appena poggiò un piede sulla soglia della sua stanza, Tom lo attirò a sé e lo baciò, senza nemmeno dargli il tempo di chiudere gli occhi. Sembrava quasi che da quel bacio dipendesse la sua stessa vita, o che si fossero appena rivisti dopo mesi di lontananza. Per fortuna lì dentro non c’era il suo fratellino, o per lo meno sperava che avesse scelto un altro posto dove andare a nascondersi.

Per lui baciare Tom era come fare sesso, riusciva ad essere passionale e travolgente, ma anche rude, come in quel momento, ed era in grado di fargli piegare le ginocchia come due deboli fuscelli.

Si aggrappò alle sue spalle per avere più stabilità e il moro gli poggiò una mano dietro la nuca, avvicinandolo maggiormente a sé, come se non lo fossero già abbastanza. Mugugnò di piacere quando prese a succhiargli la lingua in un modo così “sporco”, tanto da farlo arrossire.

Erano state parecchie le volte in cui Tom era riuscito a fargli andare il viso in fiamme con le sue proposte decisamente inopportune e piuttosto sconce, tutte fatte in occasioni poco consone. Come quella volta in cui, in gita con la classe, erano andati a visitare il Pergamon, e mentre la guida stava parlando di un’opera, descrivendo loro le sue caratteristiche, il moro gli aveva detto che voleva fare sesso, e che gli sarebbe piaciuto essere guardato dai loro compagni mentre lo faceva godere; un attimo dopo lo aveva trascinato verso i bagni, e ci erano rimasti chiusi lì dentro per tutto il resto della visita, ricomparendo solo alla fine.

Gli afferrò il labbro inferiore tra i denti e lo tirò lentamente verso di sé, rendendolo ancora più gonfio e rossastro.

Tom, senza mollare la presa su di lui, cominciò a spingerlo indietro, fino a quando Bill non urtò con la gamba la sponda di uno dei letti.

«Non in quello di Daniel».

Gli sembrava un’idea così malamente perversa fare sesso lì dove, di solito, dormiva il suo fratellino. Tom continuò ad avanzare, spingendolo poi contro il suo materasso, facendo cigolare leggermente le molle.

Si liberò della maglia e Bill si occupò della sua cerniera, calandogli i jeans. Depositò dei leggeri baci sul suo ventre, appena sopra il bordo dei boxer, e gli graffiò il petto, lasciandogli delle visibili striscioline rossastre sulla pelle. Tenne gli occhi fissi in quelli di Tom, che seguiva con attenzione ogni suo movimento.

Entrambi si liberarono dei vestiti, rimanendo con i soli boxer indosso, e Bill accolse il corpo del suo fidanzato su di sé, avvolgendogli i fianchi con le gambe. Tom riprese a baciarlo e cominciò a muoversi, facendo scontrare le loro erezioni, ancora celate dal tessuto di cotone, che non impedì loro di gemere con forza e di cercare ancora quel contatto.

La voglia che l’uno nutriva per l’altro sembrava divorarli dall’interno.

Bill lasciò scorrere le mani sul viso del moro, scese poi sulle spalle, raggiungendo i bicipiti gonfi. Era da circa un anno che Tom aveva cominciato a frequentare assiduamente la palestra, e per lui era stata una specie di benedizione, non solo perché, in quel modo, il suo corpo stava diventando più muscoloso e tonico (e di conseguenza più attraente), ma il maggior giovamento lo avevano avuto nel sesso, tutto quell’esercizio fisico gli permetteva di durare più di prima. Lui, invece, aveva un corpo decisamente più femminile; non che avesse tutte quelle curve, perché i suoi fianchi erano tutto meno che pronunciati e morbidi, ma aveva un aspetto delicato, piuttosto androgino, come del resto il suo viso, ed era questo che, principalmente, attirava i ragazzi. Ma c’era una parte di lui che era tutto fuorché femminile, e si divertiva a punzecchiare Tom rammentandogli, quando faceva lo sbruffone, che quello più dotato tra di loro era proprio lui. Ovviamente anche con il suo fidanzato Madre Natura era stata abbondantemente generosa.

Dopo qualche minuto si staccarono, per esigenza d’ossigeno, e Tom poggiò la fronte sopra quella del moro, riprendendo fiato. Tirò fuori la lingua e la fece scorrere sulle sue labbra gonfie; Bill lo imitò, facendo scontrare le loro lingue. Presero a farle accarezzare lentamente, e sembrò quasi che stessero danzando insieme.

Fu Tom a interrompere quel momento, gemendo con forza; il moro aveva fatto scivolare una gamba tra di loro, e fece strusciare il ginocchio contro il membro del suo fidanzato.

«Ti piace?», gli domandò Bill, suadente.

«Dio…», gemette, leccandosi le labbra. «Ma ora basta giochini, sono stato fin troppo paziente», ringhiò appena. «Voglio scopare».

«Amore», lo chiamò in tono lezioso l’altro. «Non ti sei scordato di una cosa?».

«Di che parli?», gli chiese lui, afferrandogli il bordo dei boxer.

«Mi hai fatto una promessa, ricordi?».

Tom sollevò lo sguardo sul viso del suo fidanzato; all’inizio parve non capire a cosa si riferisse, ma lesse la risposta che cercava negli occhi di Bill, e le sue labbra si arricciarono in un sorrisino.

«Vuoi davvero che io…?».

«Mh-mh… se non sarai all’altezza delle mie aspettative puoi scordarti il sesso», finse di minacciarlo.

«Mi piacciono le sfide».

Si chinò verso di lui ma senza baciarlo, si limitò a far sfiorare appena le loro labbra. Gli fece inclinare indietro il capo e poggiò la punta della lingua sul suo mento, cominciando una lenta discesa verso il petto. Si soffermò per un attimo sul pomo d’Adamo e lo succhiò dentro la propria bocca, sentendo le vibrazioni prodotte dalla gola di Bill, simili a delle fusa; continuò a scendere, arrivando all’altezza dello sterno, e lì decise di fare una seconda fermata.

«Tom», gemette il moro, quando gli afferrò il cerchietto del piercing, tirandolo leggermente verso l’alto.

Leccò e morse quel piccolo bottoncino, facendo arrossare la carne attorno all’areola. Sollevò lo sguardo e si godette la vista del suo ragazzo; aveva le labbra, gonfie e invitanti, leggermente dischiuse e le sue palpebre, con le ciglia che gli sfioravano le gote accaldate, che tremolavano appena. Avrebbe potuto continuare per ore ma aveva un compito ben preciso da svolgere.

Gli mordicchiò il lembo di pelle che si trovava sotto l’ombelico, e afferrò il bordo dei boxer con i denti. Lo abbassò, aiutandosi con le mani, e scoprì pian piano il suo pube ben depilato, un’altra mania di Bill. Una volta liberatolo da quell’ingombro, afferrò una delle sue gambe e se la poggiò sulle spalle. Gli baciò il ginocchio e le sue labbra continuarono a sfiorargli la pelle fino a quando non giunse a poca distanza dal suo inguine. Lo sentì fremere quando prese a fargli un succhiotto proprio lì, nell’interno coscia.

«Tom…», gli disse, e dal suo tono si capiva che era piuttosto impaziente.

Spinse il viso in avanti e poggiò la lingua sulla base del suo membro, risalendo, con estrema lentezza, verso la punta, che prese poi in bocca.

«Oh Dio!», esclamò, stringendo la federa tra le dita.

Lo afferrò con la mano e cominciò a muovere il capo, senza mai perdere di vista il viso di Bill. Gli piaceva guardarlo mentre lo faceva godere, era una visione che gli faceva contorcere le viscere.

Non si poteva ritenere un grande esperto in quel campo, ma era giusto che anche il moro ricevesse quel tipo di attenzioni da parte sua.

Leccò la pelle accaldata, riuscendo addirittura ad avvertire le pulsazioni accelerate del suo cuore. Abbassò il prepuzio e fece scorrere la punta della lingua sul piccolo solco che si trovava sulla punta sensibile, prima di tornare a succhiarla. Sentì Bill farneticare cose senza senso e gli scappò involontariamente da ridere; per il moro fu una vera mazzata. Le vibrazioni sembrarono irradiarsi per tutto il suo corpo.

«Non ridere, stronzo, o mi farai venire», ringhiò tra i denti, mentre cercava con tutte le sue forze di non spingere in alto il bacino; nello stato in cui si trovava in quel momento correva il rischio di soffocare il suo ragazzo, perché non sarebbe stato in grado di dosare i propri movimenti.

«Scusami», gli disse, soffiando contro il suo membro.

«Dio…», gemette, mordendosi le labbra.

«Ti piace?», gli domandò Tom, mentre continuava a masturbarlo solo con la mano.

«Lo sai», mugugnò Bill.

«Voglio sentirtelo dire».

Abbassò nuovamente il viso sul suo inguine e, senza preavviso, prese uno dei suoi testicoli in bocca e lo succhiò con forza. Bill fu quasi certo di morire, cominciò a vedere dei puntini bianchi di fronte a sé e i suoi polmoni ebbero una specie di collasso.

«Tom, Tom, Tom. OhmioDio!».

«Allora?», continuò il moro, facendovi scorrere sopra la lingua.

«Cazzo, sì! È fottutamente bello!», esclamò, ormai senza fiato.

Riprese ad occuparsi della sua erezione e con il palmo della mano gli massaggio i testicoli, mentre con il medio ripercorreva quel piccolo lembo di pelle, molto sensibile, che intercorreva tra di essi e la sua apertura. La forzò leggermente con il polpastrello, e Bill parve gradire, perché lo sentì graffiargli con forza il collo, gemendo il suo nome. Fece maggiore pressione con il palmo e, contemporaneamente, spinse il dito dentro di lui, strappandogli un urlo.

«Scopami!», gli ordinò, tirandogli i rasta, tanto da fargli male.

«Non ancora», rispose Tom.

«Cosa?!», sbraitò il moro, strabuzzando gli occhi. «Fanculo! Fino a cinque minuti fa eri tu quello che non voleva aspettare. Ti ho detto di scoparmi, adesso!».

Tom sollevò il busto e gli premette una mano sulla bocca. «Smetti di fare i capricci», gli disse in tono autoritario. «Sono io a decidere».

Bill sostenne il suo sguardo e gli leccò il palmo della mano, risucchiando poi una delle dita all’interno della bocca. Il moro sentì il proprio membro pulsare dolorosamente; quel continuò sfregamento contro il tessuto dei boxer lo stava facendo impazzire. Voleva liberarsene e voleva scopare il ragazzo che si trovava sotto di lui, impegnato a far scorrere il piercing sul suo polpastrello; avrebbe voluto sentirlo sul proprio membro, mentre ripercorreva la sua lunghezza, fino alla punta, ma doveva rimanere concentrato, non poteva cedere tanto facilmente. Così strinse i testicoli del moro tra le dita e Bill spalancò la bocca, gemendo con forza.

«B-bastardo», lo apostrofò, guardandolo con odio, ma Tom sapeva che in realtà gli stava solo chiedendo di rifarlo.

«Ora farai il bravo», gli soffiò contro il viso. «Non ho ancora finito».

Gli fece piegare le ginocchia e gliele poggiò contro il petto, chiedendogli di tenerle ferme.

«Che vuoi fare?», gli chiese, vedendolo, per quanto gli fosse possibile, riavvicinare il viso al suo inguine. La risposta a quella domanda gli arrivò un attimo dopo, quando sentì qualcosa di caldo e umido scorrere sulla sua apertura. Sgranò gli occhi, incredulo. «Tom, hai davvero…?».

«Mh-mh», mugugnò, ripetendo il gesto.

Bill pensò che se fosse stato in piedi sarebbe di sicuro stramazzato al suolo. Era la prima volta che Tom faceva una cosa del genere, e se si soffermava a pensare, anche solo per un secondo, che la lingua che stava leccando il suo sedere apparteneva al suo ragazzo rischiava di venire.

Quel contatto gli fece scuotere ogni singolo osso presente nel corpo, e l’intensità dei suoi gemiti crebbe. Per fortuna che in casa erano soli, più o meno, ma probabilmente anche la sua vicina sarebbe riuscita a sentirlo.

Tom creò un maggiore divario tra le sue natiche e cercò di irrigidire la lingua, spingendola oltre i muscoli dello sfintere, per quando la natura umana glielo permettesse.

«Tom… Dio… no-non farlo…», lo implorò, strizzando gli occhi; stava facendo troppo affidamento sulla sua resistenza, e se continuava a torturarlo in quel modo sarebbe probabilmente esploro nel giro di pochi minuti. Non voleva venire così presto, sarebbe stato come dare un morso ad un gelato, prima di vedere l’altra metà cadere a terra, e in quella c’era il suo gusto preferito. Ma il moro non sembrò non voler sentire le sue preghiere, si limitò a sostituire la lingua con la bocca, e cominciò a succhiare la sua pelle.

«Cazzo!», strillò, quasi strappando il copriletto.

«Sei così buono…».

«N-no-non di-dirmi certe co-cose a-adesso!», gli disse, con evidente difficoltà; aveva il fiato corto e la posizione in cui era non gli permetteva di incamerare una maggiore quantità d’aria.

Tom ridacchiò e fece roteare la punta della lingua attorno alla sua apertura, fino a quando il suo sguardo non venne catturato da qualcosa.

«Cos’è quello?».

«Cosa?», domandò il moro, scostandosi i capelli che gli si erano appiccicati al viso per via del sudore.

«Quello». Indicò un oggetto sul letto di Daniel.

«Oh, dovrebbe essere una spada laser in miniatura, un regalo di mio zio August, sai quant’è fissato con Star Wars».

Tom si alzò dal materasso e recuperò la piccola spada laser, osservandola con grande interesse.

«Che hai in mente?», gli chiese, vedendo lo strano sorrisetto che aleggiava sulle labbra del suo ragazzo. «Ti è venuta un’improvvisa voglia di giocare?».

«Esattamente».

Afferrò le ginocchia di Bill e le spinse verso il letto, in modo che il moro fosse in posizione supina. Prese poi a leccare velocemente la plastica trasparente del giocattolo, facendovi colare sopra la propria saliva, e, prima che Bill avesse il tempo di porgli altre domande, spinse la punta arrotondata contro la sua apertura, facendola scivolare al suo interno, fino ad arrivare al manico scuro, che reggeva saldamente con la mano.

«Che diavolo…?!», esclamò, fissando il suo fidanzato. Gli aveva appena infilato la spada laser del suo fratellino nel sedere?! Ma i suoi pensieri vennero annebbiati nel momento in cui Tom cominciò a muovere il giocattolo; era ben diverso dall’avere il moro dentro di sé, ma faceva comunque un certo effetto, a giudicare dai suoi gemiti.

«Vuoi che l’accenda?», chiese, sogghignando divertito.

«F-fottiti!», ansimò Bill, prima che un gemito gli spezzasse il fiato.

«Preferisco di gran lunga fottere te, e lo farò tra poco, non devi preoccuparti, mio piccolo raggio di sole».

«Tom…», piagnucolò il moro, aggrappandosi al cuscino. Sentiva che la pelle dei suoi testicoli era tesa e il membro cominciava a fargli davvero un gran male.

Tom cercò di angolare meglio il giocattolo, in modo che la punta riuscisse a raggiungere la prostata del moro, ma nonostante sapesse come muoversi lo stava facendo un po’ alla cieca, affidandosi ai gemiti di Bill.

«È qui?», chiese, spingendolo verso un punto che non poteva sentire.

Bill non rispose, si limitò a strillare con tutta l’aria che aveva nei polmoni, e a Tom bastò. Tirò leggermente in fuori il giocattolo e, cercando di mantenere la stessa angolazione, lo spinse nuovamente contro quella piccola ghiandola, strappando un altro urlo al suo ragazzo.

Si leccò le labbra e cominciò a muovere ad un ritmo maggiore la propria mano, e a quel punto Bill arrivò addirittura ad implorarlo di smettere, ma anche quella volta lo ignorò. Senza arrestare i propri movimenti, si chinò verso la natica del moro e la morse, con una forza tale da lasciare il segno dei denti. Leccò con dolcezza l’impronta, soffiandoci poi sopra per far asciugare la saliva.

«Tom sto… sto…».

«Ancora un attimo, amore mio».

«Io non… non ci… riesco», gli disse Bill, con difficoltà; era allo stremo delle forze.

«Ti darò ciò che vuoi». Si sporse verso di lui per baciargli la guancia sudata. «Dov’è il lubrificante?».

«Dietro… il… comodino…».

Tom lo spostò e vide una delle mattonelle del battiscopa staccarsi leggermente; la tolse del tutto e, in una piccola nicchia nel muro, contenuto dentro un sacchetto di plastica trasparente, c’era un bottiglietta di lubrificante. Misure anti-mamma; Simone non era così sciocca da pensare che loro due non facessero sesso, ma preferiva immaginarli ancora come due bambini innocenti.

«Tom…», piagnucolò ancora il moro.

«Ho quasi fatto», gli assicurò.

Sfilò via il giocattolo, lasciandolo cadere per terra, e svitò il tappo della bottiglietta, liberandosi poi dei boxer; nemmeno lui sarebbe riuscito a durare tanto, la sua punta era già rossa e bagnata. Versò il contenuto della bottiglietta sulla mano e lo passò velocemente sulla propria lunghezza, tornando poi a sedersi.

Fece divaricare le gambe al moro e si sistemò tra di esse, sentendo poi Bill avvolgergli i fianchi. Poggiò la punta del membro contro l’apertura del suo fidanzato e si spinse dentro di lui con un unico movimento, facendo gemere entrambi.

Bill gli afferrò il viso e gli diede un morso alla gola, provocandogli un piccolo taglietto; era la giusta punizione per ciò che gli aveva fatto passare, ma quella versione vampiresca del moro non fece che far eccitare maggiormente Tom.

Si sistemò meglio tra le sue gambe e fece scivolare le braccia dietro la sua schiena, in quel modo riusciva a tenere il suo bacino leggermente sollevato.

Non ci pensò nemmeno a procedere gradualmente, partì direttamente in quarta. Le sue spinte erano veloci e ravvicinate e, oltre ai loro gemiti, nella stanza si sentì il rumore prodotto dalla testiera che sbatteva contro il muro.

Bill gli graffiò la schiena, senza curarsi delle possibili cicatrici che gli sarebbero rimaste, e cercò la sua bocca, baciandolo con foga, come se ormai si fosse abituato a vivere senza ossigeno. Il bacio venne spesso interrotto dai loro gemiti, ma non per questo smisero; Bill afferrò tra i denti la lingua del suo fidanzato e lo costrinse a tirarla fuori, per permettergli di succhiarla.

Tom approfittò di un piccolo spiraglio di spazio tra i loro corpi e afferrò il membro del moro, muovendo la mano allo stesso ritmo delle sue spinte. Bill, ormai giunto al limite, venne tra i loro stomaci con un gemito liberatorio.

Sentiva il proprio corpo ancora scosso dall’orgasmo e i suoi muscoli cominciarono ad intorpidirsi piacevolmente, ma non era ancora finita.

«Fammi stare sopra», miagolò, accarezzando il collo sudato del moro.

«Bill…».

Si strinse con forza attorno alla base del suo membro e sentì un ringhio provenire dalla gola di Tom.

«Fammi stare sopra», ripeté, e questa volta si trattava di un ordine.

Tom invertì le posizioni e Bill si ritrovò a fissare il suo fidanzato dall’alto. Allungò una mano verso una goccia del suo rilascio, che gli era finita sul petto, e la catturò con il dito, cospargendola sulle labbra del moro, fino a quando Tom non lo accolse dentro la sua bocca, succhiandogli il polpastrello.

«Sono buono?», gli domandò malizioso.

«Da morire».

Si aggrappò alla testiera del letto, in modo da avere maggiore stabilità, e cominciò a muoversi. Strinse ancora i muscoli dello sfintere, strappando un gemito particolarmente rumoroso al suo fidanzato, mentre Tom tornò a stuzzicare la sua apertura con il medio. Non aveva proprio la forza di venire un’altra volta.

Le molle del suo letto, eccessivamente sollecitate, producevano un fastidioso rumore, ma nessuno dei due sembrava prestarci attenzione. Si guardarono intensamente negli occhi, e Bill si godette la vista del viso di Tom ogni volta che lo faceva gemere o invocava il suo nome.

Cominciò a roteare il bacino e il moro gli graffiò i fianchi.

«Cristo!».

Si piegò verso di lui, leccandogli la linea della mandibola. «Non venire», gli sussurrò poi all’orecchio. «Voglio che tu lo faccia dentro la mia bocca».

Gli ordinò di piegare le ginocchia e, sempre restando in quella posizione, afferrò i suoi testicoli con la mano e li tirò leggermente, stimolando la pelle tesa e sensibile. Questa volta fu il turno di Tom di rimanere senza fiato.

«Dio… sei fantastico…», gemette, abbassando le palpebre.

Gli leccò la gola, facendo scorrere la pallina del piercing lungo il suo pomo d’Adamo, e aumentò il ritmo dei suoi movimenti, aiutato da Tom che aveva cominciato a sollevare il bacino, facendo sì che il suo membro arrivasse maggiormente in profondità.

Bill lo strinse nuovamente in una morsa, e il moro fu costretto a mordersi l’interno della guancia per non urlare. Provò a invertire le posizioni, ma il suo fidanzato gli poggiò le mani sulle spalle, tenendolo giù.

«Non ci provare».

Tom arricciò le labbra e avvicinò la mano alla bocca, leccandosi il palmo; l’avvolse poi attorno al membro di Bill, pompandolo velocemente.

«No!», ringhiò, piantando le unghie nel polso del ragazzo. Era ancora così sensibile, rischiava di venire per la seconda volta ma voleva che fosse Tom a farlo.

Si sollevò e, dopo essersi inginocchiato tra le sue gambe, prese il suo membro in bocca, succhiandolo con forza. Il moro continuò a muovere il bacino, come se lo stesse ancora scopando. Sentì le sue dita scivolare tra i capelli e tirarli leggermente, guidando i movimenti del suo capo.

Sentiva che Tom era molto vicino, a giudicare dai suoi numerosi gemiti, ma voleva farlo impazzire, come il moro aveva fatto con lui.

Stuzzicò nuovamente i suoi testicoli e, senza preavviso, spinse in dito dentro di lui, raggiungendo un punto che conosceva bene.

Tom sgranò gli occhi e cominciò ad agitarsi, infastidito da quella intrusione, a cui non si era preparato, ma urlò e inarcò la schiena quando Bill cominciò a muovere il polpastrello sopra la sua prostata, creando una pressione tale da farlo venire dentro la sua bocca. Si lasciò ricadere pesantemente sul materasso, senza più un briciolo di energia.

Bill mandò giù il suo rilascio e si poggiò contro il suo petto sudato, leccandogli le labbra, leggermente dischiuse. Tom tirò fuori la sua, pigramente, e le fece scontrare; il moro spinse poi il viso verso il suo, baciandolo.

«Sembravi proprio una quindicenne arrapata», lo prese in giro, sfregando la punta del naso contro la sua guancia accaldata.

«Fanculo», sbottò Tom. «Mi hai messo un dito nel sedere!».

«Ti è piaciuto», ridacchiò lui. «E non osare dire il contrario, mi hai quasi soffocato».

«Forse…», rispose il moro, sollevando un angolo della bocca.

«Quindi me lo lascerai rifare?».

«Te lo puoi scordare».

«Beh non sei tu a decidere», decretò lui, sollevando un angolo della bocca in alto.

Tom scosse il capo e fece scorrere le dita tra i suoi capelli umidi. «Dopo questa sera non ho più alcun dubbio sul prossimo regalo che ti farò per il tuo compleanno».

«Sesso?», domandò divertito. «Non è poi una così grande novità, è ciò che mi regali ogni anno da quando ci siamo messi insieme».

«Ed è il miglior regalo che tu abbia mai ricevuto, non puoi negarlo! No, comunque mi riferivo ad un sex toy».

«Tom!», esclamò il moro, strabuzzando gli occhi.

«Lo prenderò rosa coi brillantini, non ti piace?», gli domandò, mentre a fatica cercava di rimanere serio. «Non potremo usare per sempre i giocattoli di tuo fratello».

«Toglitelo dalla testa!», decretò Bill, scuotendo con fermezza il capo.

«Beh non sei tu a decidere», lo scimmiottò, sogghignando divertito.

Restarono su quel letto a farsi le coccole per un’altra decina di minuti, ma alla fine Bill fu costretto a cacciare il suo fidanzato.

Lo accompagno alla porta e gli rubò un ultimo bacio, ridacchiando quando Tom gli diede una pacca sul sedere, fasciato solo dai boxer.

«Chiamami se ti dovesse servire di nuovo una mano», si raccomandò, stringendogli la natica tra le dita. «In fin dei conti fare il baby sitter è molto divertente».

«Sarai il primo della lista, promesso», gli assicurò il moro.

Dopo un altro paio di baci a fiori di labbra, Bill salì al piano si sopra, fischiettando allegramente. Decise di fare una doccia veloce per darsi una ripulita, e si mise poi a letto. Affondò il viso nella federa, impregnata del profumo di Tom, e si addormentò con il sorriso sulle labbra, piacevolmente stremato.

Si era scordato di fare qualcosa ma era troppo stanco per pensarci.

I suoi genitori rientrarono un’ora più tardi e cercarono di non fare troppo rumore, per non svegliare i loro figli.

«Metto via il soprabito e vado a rimboccare le coperte a Daniel», disse Simone a suo marito.

Salì le scale e raggiunse la propria camera da letto e, quando aprì la porta, non riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa quando vide che c’era qualcosa sotto le coperte; all’inizio pensò si trattasse di qualche animale entrato dalla finestra, ma, nel momento in cui sollevò il copriletto, vide che si trattava del suo secondogenito, che se ne stava rannicchiato in posizione fetale, con il ditino in bocca.

«Gordon, vieni qui».

«Che succede?», le domandò, e quando le si avvicinò capì il motivo di tanta sorpresa. «Che ci fa lì?».

«Non so». Simone si piegò e scosse delicatamente la spalla del bambino. «Daniel, tesoro, svegliati».

Daniel sollevò lentamente le palpebre, appesantite dal sonno, e osservò la donna.

«Mami», disse, con un filo di voce. «Tao…».

«Perché sei nella camera mamma?».

«Io e Bill tavamo giocado», rispose, stropicciandosi gli occhietti. «A naccodino».

«E ti ha lasciato qui dentro tutta la sera?».

Daniel annuì. «Lui e Tom mi ceccavano, ma io tono tato bavo. Ti tono abbiati pecché non mi tovavano, ulavano tato tato».

Li aveva sentiti urlare davvero un sacco, ma lui era comunque rimasto lì, buono buono, come gli aveva detto di fare il suo fratellone, fino a quando non si era addormentato.

«Vieni qui tesoro, ti porto a letto. Domattina tuo fratello se la dovrà vedere con me». Lo prese in braccio e il bambino poggiò la testa sulla sua spalla.

«No abbiati co Bill, mi tono divetito a gioca eco lui», le disse il bambino, con voce strascicata.

Simone ringraziò il cielo che Daniel fosse tanto innocente, e lo adagiò sul suo letto, poggiandogli accanto il suo orsetto, che tempo prima era appartenuto a Bill. Gli rimboccò le coperte e gli diede un bacio sulla fronte, voltandosi poi verso il suo primogenito; avrebbe dovuto rimproverarlo per ciò che aveva fatto, ma per il momento preferì rimandare la cosa, lo avrebbe messo in punizione per il resto della sua vita la mattina seguente.

Anche Daniel quella notte si addormentò con un sorriso sulle labbra, il giorno successivo avrebbe ricevuto un gran bel gelato come premio. Era il re del nascondino!




Note finali: Ogni volta che dico di voler scrivere una one shot viene fuori una pwp xD va beh, io accetto quel che passa il convento, l'importante è scrivere. Non so nemmeno da dove sia saltata fuori questa storia, probabilmente sono stata influenzata dal fatto che da circa un mese passo quasi tutti i giorni a fare da baby sitter ai miei due nipotini (per la parte di Daniel ho dovuto chiedere aiuto al più piccolo che ha 2 anni, ahahah io gli dicevo le frasi e lui le ripeteva, e mentre lo facevo io trascrivevo ahahah anche perché avrei rischiato di farlo parlare come un adulto. Grazie piccolo rompiballe <3). Se trovate qualche errore qua e là fate finta di niente, ho troppo caldo e sono eccessivamente svogliata per rileggere una seconda volta XD quindi bonci. Grazie per aver letto e alla prossima u-u (che di sicuro sarà un'altra pwp ahahah)

Edited by Redda - 30/6/2012, 15:18
 
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view post Posted on 6/7/2012, 13:57
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Obsessed Twincester
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ok... giuro.. sono morta dalle risate XD
e devo aggiungere anche se è stata da sbavv *çç*

CITAZIONE
«Vuoi che l’accenda?», chiese, sogghignando divertito.

«F-fottiti!»,

stavo crepando XD ahahah

brava
 
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Redda
view post Posted on 7/7/2012, 10:24




CITAZIONE
Bill Kaulitz

Ammetto di aver riso come una beota a quel punto, mentre lo stavo scrivendo XD
 
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Schuldig Innocence
view post Posted on 10/7/2012, 18:20




Lo so che è una piccola storia. Ma io me la sono goduta alla grande!
In un periodo di magra, in cui sembra che tutti si siano convertiti o al noir più fondo o al romanticismo più dolce, finalmente una cara vecchia sana storia nc17, anzi pwp. E per di più sontuosamente e perfettamente scritta!
Era da MESI cribbio, che non leggevo nulla del genere, e non che io sia una maniaca che apprezza solo pwp, perchè in verità leggo di tutto se è ben scritto, ma decisamente mi mancava. Ti ringrazio infinitamente per aver postato una storia così appagante e ben scritta U.U
Quel Bill con la barba che Tom a volte non riconosce...Quanto capisco questo sentimento! :P
 
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Redda
view post Posted on 13/7/2012, 22:41




XDDD io non vado molto per il romantico, sarà che sono cinica di mio quindi il giorno che scriverò una fluff probabilmente sarò sotto l'effetto di droga XD Tranquilla, anche perché dovrei considerarmi anch'io una maniaca, preferisco le storie di sostanza a quelle tutte melense sole, cuore, amore. Ma grazie a te (:
 
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Schuldig Innocence
view post Posted on 16/7/2012, 17:33




CITAZIONE (Redda @ 13/7/2012, 23:41) 
XDDD io non vado molto per il romantico, sarà che sono cinica di mio quindi il giorno che scriverò una fluff probabilmente sarò sotto l'effetto di droga XD Tranquilla, anche perché dovrei considerarmi anch'io una maniaca, preferisco le storie di sostanza a quelle tutte melense sole, cuore, amore. Ma grazie a te (:

Allora per carità...NON DROGARTI :D
 
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monsoon77
view post Posted on 24/10/2012, 12:05




ahahahahahaahahah oddio la amo bravissimaaaa :)
 
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6 replies since 30/6/2012, 13:55   438 views
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