Sweet Nightmare, OneShot partecipante alla II Challenge.

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~ Eire
view post Posted on 15/10/2010, 18:49




Titolo: Sweet Nightmare
Autore: Eire
Beta: Clodia^
Rating: G/PG
Genere: AU, Fantasy
Avvisi: Twincest Not Related, OOC
Note: Shot partecipante alla II CHALLENGE @tokiohotel.forumfree
Keyword: Arcobaleno.
Riassunto: Vi siete mai chiesti cosa succede ai confini di un sogno?







Banner by ~Maryon‚






Declaimer: Non possiedo Bill e Tom Kaulitz, né Andreas (Non so come faccia di cognome), tanto meno la mamma e quella povera disgraziata della nonna! Tutto ciò che ho scritto non è reale e non è a scopo di lucro.




Sweet Nightmare




Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.
[Cit. Catullo]





Ai tempi delle streghe, delle pozioni, formule e incantesimi, quando la magia esisteva ancora e le persone venivano uccise ingiustamente, esistevano anche i sogni e gli angeli.
Si dice che uno di questi angeli si fosse perdutamente innamorato di una fanciulla che abitava giù nella valle; lui le rimaneva sempre accanto, senza abbandonarla mai e vegliando su di lei costantemente, ma ahimè, non poteva essere visto dall’amata se non attraverso i sogni.
Il giorno del matrimonio della ragazza, l’angelo addolorato pianse così tanto che la valle fu inondata da una pioggia improvvisa e il futuro sposo venne travolto da una frana. La fanciulla disperata, decise allora di andare a rivolgersi da una vecchia strega che in cambio dei suoi sogni le concesse un sortilegio.
«Sette
gemme, messe al mondo dalla stessa madre sotto l’arcobaleno .. »
E lei li raccolse tutti, i sette fiori della valle, li legò diligentemente in un mazzolino e prima di andare a dormire li ripose sotto il guanciale, per poter sognare un’ultima volta il suo mancato sposo.
Quando la mattina successiva si svegliò, sapeva esattamente dove andare a cercare l’amato disperso, ma quando arrivarono nel luogo sognato scoprirono semplicemente che lo sposo era morto, unico ricordo era il suo corpo, circondato da sette fiori, ognuno di un colore diverso,
i sette fiori che la fanciulla aveva raccolto per poterlo trovare.

Non sognò mai più l’angelo, dopo aver visto il proprio sposo quella notte, lei sarebbe stata sua per sempre, sua e di nessun altro, nemmeno di quell’essere celestiale. Sapeva che nemmeno la morte poteva separarli, si sarebbero rivisti in una vita successiva.
Poco dopo anche lei lasciò la vita, incapace di sognare e uccisa dal dolore.
Da allora, nonostante siano trascorsi più di centinaia di secoli, i vecchi anziani del villaggio si tramandano in segreto un trancio della leggenda, secondo la quale i due promessi sposi ritornino nella valle e aiutino due
predestinati a legarsi l’uno all’altro per il resto dell’eternità.



Non ricordo quanto tempo fa sentì per la prima volta questa leggenda, mamma mi diceva che era stata la prima favola che mi aveva raccontato e io speravo che fosse anche l’ultima.
Avevo undici anni quando iniziai la mia caccia, la ricerca dell’arcobaleno con i sette fiori. Dovevo farcela, volevo sognare la persona che mi sarebbe sempre stata accanto, che mi avrebbe amato per sempre. Io speravo fosse Nymphe, la più bella bambina del paese, secondo me e altri bambini molto meno carini di me.

Avevo solo un rivale, un maledetto marmocchio per cui valesse davvero la pena di preoccuparsi. Il ragazzo in questione aveva quattordici anni, tre in più di me. Con i capelli biondi e mossi che lui teneva legati sulla nuca con un nastro azzurro. Era molto più alto di me e per questo spesso e volentieri mi derideva, io lo odiavo.
Mi prendeva in giro chiamandomi Billa mentre il mio nome era Bill, senza la ‘a’ B.I.L.L.
E poi come si permetteva? Lui si chiamava Thomas, bleah! E pretendeva che gli altri bambini lo chiamassero Tom, Mpf! Che pagliaccio!

Ogni qualvolta me lo ritrovassi tra i piedi mi faceva infuriare a morte con tutti. Se lo incontravo durante la mattina, per tutto il resto della giornata avevo un diavolo per capello e continuavo a brontolare intrattabile, come faceva il nonno quando la nonna si dimenticava di preparagli il thé; se invece lo incontravo in serata, non facevo sonni tranquilli e lo sognavo, sognavo cose strane che non mi piacevano affatto.
La cosa che mi infastidiva più di lui in persona era la sua voce: gracchiante e dal timbro rude di chi stava crescendo. Ogni mattina quando mi risvegliavo, dopo averlo sognato, l’eco della sua voce mi rimaneva impresso nella memoria, accompagnandomi per il resto della giornata.
Mi seguiva, ne ero certo! E voleva rubarmi Nymphe, la voleva tenere tutta per se. Non mi lasciava mai avvicinare a lei, era sempre in agguato, non appena avevo modo di parlarle arrivava subito lui e prendeva a scherzare con la mia futura fidanzata e moglie. Lasciandomi solo con un pugno di mosche, e tanto sconforto.

Ma io non mi davo mai per vinto, prima o mi sarei preso la mia rivincita!
Ma tanto io avrei raccolto per primo i fiori e l’avrei sognata, di questo ne ero sicuro, avrei sognato lei.
Purtroppo per me l’accesso alle cascate mi era stato vietato da quando Becker era caduto da una sporgenza. Idiota! Ecco un altro punto a mio svantaggio Thomas poteva andarci quando voleva, perché lui era grande. Gne gne! Che invidia .. Lui poteva tutto e io no. Ma le cose conquistate a fatica sono sempre quelle più belle.

Quindi io e Andreas, il mio migliore amico, stavamo organizzando un piano per sfuggire al controllo delle nostre mamme e avere almeno quattro ore a nostra disposizione per raggiungere la valle, trovare i fiori e ritornare vincitori agli occhi di tutti gli altri bambini.

In realtà l’unico veramente determinato ero io. Andreas era solo un fedele compagno che mi seguiva sempre, sia nel bene che nel male. Aveva due anni in più, era vivace, certo non quanto me, ma dava del filo da torcere a sua madre. Aveva una corporatura esile, dei capelli biondissimi, quasi bianchi e dei magnifici occhi azzurri, tutto il contrario di me.
Eravamo praticamente cresciuti insieme, la mia prima fotografia ce l’ho con lui che mi tiene in braccio, c’erano stati un paio di anni in cui non ci sapevamo vedere, mi stava proprio antipatico poi, a forza di passare insieme i pomeriggi con le nostre madri, avevamo ripreso quel legame che da sempre ci univa. Lui era il fratello maggiore che non avevo, ed io ero il suo fratellino.

Il giorno stabilito, preparammo gli zainetti con la merenda, e dei nastri per capelli, rubati alle bambine che giocavano con noi, nel caso avessimo trovato i fiori. Mi sentivo al settimo cielo, avevo aspettato quasi un anno prima che arrivasse il giorno del compleanno di papà, quel giorno, infatti, lui avrebbe portato la mamma a cena e io sarei dovuto rimanere con quella pallosa di mia nonna, ma questa era la teoria. I fatti sarebbero stati completamente diversi!

Mia nonna non era mai stata molto arzilla, stava quasi sempre seduta sulla sedia a dondolo nella veranda, diceva di aspettare il ritorno del nonno con la carrozza. Spesso mi chiedevo se si fosse dimenticata che il nonno non c’era più, ma poi rimanevo in silenzio, completamente assorto nella devozione con la quale pronunciava quelle parole: «Lui amava che gli dessi il bentornato quando tornava dalle miniere.» Peccato che il nonno da quelle miniere non avrebbe fatto più ritorno.

Dopo averle diluito il contenuto di una delle sue fiale nel thè, che solitamente prendeva prima di dormire, eravamo usciti cercando di fare il meno rumore possibile dal cancelletto che si trovava nel retro.
Stavo implodendo di gioia, di lì a poco avrei realizzato un sogno.

«Bill, io non ce la faccio più! Fermiamoci.» mi supplicò dopo nemmeno un’ora di cammino il mio amico, lungi dal voler proseguire in quella marcia senza sosta fino alle cascate.
«Sette fiori, raccolti sotto l'arcobaleno. » ripetei imperterrito , al che Andreas sbuffò contrariato: «Ma lo sai che è solo una leggenda, tu non sognerai ...» si interruppe vedendo sicuramente comparire delle lacrime agli angoli dei miei occhi. Ci avevo speso troppo tempo, troppe notti, troppi sogni.


Riprendemmo il cammino e ben presto ci trovammo sotto quelli che erano i salici piangenti, sotto ai quali era stato ritrovato il promesso sposo, venni percorso da un brivido d’eccitazione. Eravamo quasi arrivati.

«Dai su, un altro po’ e poi sarà tutta pianura .. tu non sei felice di essere arrivato? » lo consolai, con il sorriso più spontaneo di cui fossi capace; lo vidi ricambiare e, prendendomi per mano, ci avviammo smaniosi nel sentiero da cui sentivamo provenire lo scrosciare dell’acqua, accompagnato da una strana melodia.
Incuriosito, fu Andreas ad iniziare a trascinarmi, ridacchiai vedendolo così preso, poi si fermò, d’improvviso facendomi sbattere contro la sua altrettanto esile figura.

«Quello non è Tom?» chiese sospettoso Andreas.
«Uffa! Che pizza, ma sempre tra i piedi deve stare?» Quel coso mi perseguitava, lo sapevo. sbattei un piede a terra alquanto irritato dalla presenza del mio rivale, cosa diavolo ci faceva li? Non potevo assolutamente permettergli di intralciarmi.
Andreas sorrise, al che feci una smorfia di dissenso, «Non dovrai più vederlo per molto,» iniziò, «Domani Tom partirà per una di quelle grandi città di cui ci ha parlato la maestra.»
«Quando? Come fai a saperlo?» chiesi stupito.
«No, Bill, la domanda è come fai tu a non ricordartelo?! E’ venuto lui stesso a darti l’invito per la festa di stasera.» precisò sghignazzando.
Mi balenò in mente un vivido ricordo del giorno in cui era entrato in classe, con quella sua camminata strana, ed aveva annunciato che il diciassette luglio avrebbe dato una festa d’addio per la sua imminente partenza verso il nuovo mondo. Come avevo fatto a dimenticarmi una cosa cos’ importante!

In quel momento il mio unico pensiero fu: Se ne andrà!
Mi sentì immediatamente più sereno, e uscì allo scoperto senza provare più quello strano fastidio che sentivo solitamente in sua presenza.
Thomas non sembrò accorgersi di noi, forse da quella distanza non era riuscito a riconoscerci, perché mi parve di scorgere un piccolo sorriso affiorare sulle sue labbra. Continuò a suonare quello strano flauto, dedicandoci forse più attenzione. «Quello è il Flauto d’amore, Tom è un portento con quella cosa in mano!»

Ricordo ancora oggi quella fissazione di Andreas con un sorriso, quello era il periodo in cui usava ‘portento’ due volte su tre. Per qualsiasi frase.

La nuova melodia, più dolce rispetto all’altra, si diffuse per tutta la valle, era strana, incantevole e fascinosa, era magica. Come poteva quello scemo di un Thomas suonare in quel modo?!
Non sembrava lo stesso ragazzino che mi tirava dispettosamente le ciocche di capelli e mi umiliava davanti alla mia ninfa. Aveva uno sguardo dolce e ondeggiava leggermente il capo, rapito dalla propria melodia. Appariva decisamente più docile e tranquillo da come l’ho sempre visto. Il suo viso era rilassato e pacifico, abbellito da un insolito sorriso disteso sulle sue labbra.

Mi ritrovai a pensare a quanto fossero aggraziati i suoi movimenti e la linea del suo viso sembrava rischiarita dalle piccole goccioline che gli guizzavano addosso. La luce che sembrava avvolgerlo sembrava inondare la natura a lui circostante. Tom somigliava ad un angelo, intento a suonare, come se questa non fosse la terra, ma il paradiso.
Sembrava quasi che fossi stato catapultato in uno di quei tanti sogni con noi due protagonisti. Non sopportavo di vedere quelle cose, non erano giuste.

Ero talmente perso a osservare quel ragazzo che non subito mi accorsi da cosa eravamo interamente circondati: gli arcobaleni, come un magnifico incantesimo donatoci dal cielo. Erano tanti, tantissimi.
Girai e rigirai più volte su me stesso, affascinato e ammutolito da quello spettacolo senza eguali; il mio migliore amico, accanto a me, ebbe la stessa reazione. La cascate erano trafitte da parte a parte da quelle volte colorate, sembravano dipinte nell’aria e invece di sbiadirsi si accendevano di luce attimo dopo attimo.
«Che portento!» squittì Andreas, esultando.
«Dobbiamo raccogliere i fiori, vieni ad aiutarmi!» e così dicendo iniziai a correre verso la radura accanto le cascate.

Dopo nemmeno trequarti d’ora stavamo ancora cercando l’ultimo fiore, il mio preferito .. il Myosotis, comunemente conosciuto come il ‘Non ti scordar di Me’. Era l’unico di cui sapessi il nome scientifico, quando la maestra ne aveva parlato, descrivendocelo e facendocelo disegnare ero stato l’unico ad averne capito l’aspetto. Purtroppo non erano molte le immagini che ci erano arrivate dai tempi passati, ma ne conservavano dei ritratti nella libreria al centro del paese, tra l’incrocio Sonnenblume e il Flieder. Lì, avevo letto anche che si sarebbe dovuto trovare tra il primo e il secondo salto, lì dove poco tempo prima era seduto Thomas.
Adesso non c’era più.

Lasciai Andreas a terra con gli zainetti e i fiori, ed iniziai la ripida scalata alla cima della quale speravo di trovare i tanto agognati fiori.
Non ci misi tanto ad arrivare in cima alla sporgenza più accennata della parete rocciosa, ma non era abbastanza. Ancora un po’, dovevo salire solo di qualche metro e poi sarebbero stati miei.
Feci qualche passo per arrivare un po’ più in alto, e li vidi. Sporgevano da un piccolo cespuglio fuoriuscente da delle piantine un po’ più scure delle foglie del fiore.
C’ero quasi. Allungai la mano sinistra, rimanendo aggrappato ad una piccola radice accanto al mio viso. Nel tentativo di raggiungere il mazzolino sentì il braccio che iniziava ad indolenzirsi, faticai un altro po’ e alla fine ce la feci. Avevo finalmente l’ultimo fiore, mi girai, forse troppo velocemente, per far vedere il piccolo tesoro che stringevo tra le mani ad Andreas e solo allora me ne accorsi: l’altezza.
Mi ero arrampicato per non so quanti metri senza accorgermene, come in preda a non so quale raptus, talmente impegnato a raggiungere il mio scopo, che avevo dimenticato il resto del mondo alle mie spalle, e soprattutto dimentico del fatto che soffrissi di vertigini. Non feci in tempo a voltarmi e mi ritrovai a dovermi aggrappare a dei piccoli arbusti , cercando di non cadere nel vuoto.

Sentì l’eco di un urlo, quasi disumano, sopraffatto dal terrore e quando mi accorsi che la voce che urlava era la mia, iniziai a singhiozzare.
Sotto di me Andreas cercava di dirmi qualcosa, ma non riuscivo a capirlo a causa dello scrosciare sempre più prepotente dell’acqua. Si muoveva agitato e in preda alla disperazione.
E poi, la sentì. La più magica delle voci, la più dolce e calda di tutte. Non mi ci volle niente per capire a chi appartenesse: Thomas. «Afferra .. » Mi stava urlando qualcosa, ma come per Andreas non riuscivo a capirlo, sarei stato destinato a cadere: mi aggrappai bene agli arbusti con tutta la forza che avevo e con l’altra mano mi strinsi al petto il mazzolino di fiori.

Quando persi del tutto le speranze mi sentì avvolto da qualcosa di freddo e bagnato, più di quanto lo fossi io.
«Tieniti forte a me.» mi ordinò qualcuno, stringendomi a se. Aprì piano gli occhi, terrorizzato da quello che potevo vedere. Ma la vista che mi si presentò davanti fu di tutt’altro tipo .. forse ero un bambino, ma rimasi plagiato da quello sguardo. Di lì a poco avrei scoperto che sarebbe rimasto indelebile nella mia mente.
Lui, Thomas non stava guardando me, ma verso il basso e con la forza delle braccia, tenendomi comunque stretto a se, stava cercando di riportarci a terra.
Non so con precisione quanto tempo fosse passato da quando ero ritornato a terra, ma a farmene accorgere fu qualcosa di spigoloso e con una vocina acutissima che prese a singhiozzare nel mio orecchio sinistro: Andreas.

«Adesso puoi lasciarmi .. » sentì sussurrarmi nell’altro orecchio dalla voce di Thomas, quando alzai lo sguardo sentì i suoi occhi infrangersi contro i miei lasciandomi in uno stato a dir poco pietoso. Ripresi a tremare, al che le braccia di Thomas mi sottrassero dall’abbraccio del mio amico biondo e mi strinsero a lui con tale impeto che mi fece sentire una bambola di pezza.

Lui è il nemico. Una vocina persistente mi fece balzare lontano da lui e dai suoi maledetti occhi facendomi rifugiare dietro le spalle di Andreas.
«Grazie!» disse Andreas, tra un singhiozzo e l’altro, facendomi sentire un vile.
Io avrei dovuto ringraziarlo, non lui.
La sua unica risposta fu un flebile: «Non fatelo più, vi sareste potuti far del male .. » Sembrava essersi improvvisamente rattristato e anche la sua voce aveva perso quella sfumatura dolce che aveva assunto quando mi aveva parlato, io non capendone il motivo lo ignorai.
Mi sorrise apertamente, il primo vero sorriso che mi fece. Quel pomeriggio ci riaccompagnò a casa, prima ad Andreas, poi me, che vivevo poche ville prima della sua. «Se verrai stasera ti devo raccontare una cosa, io ti aspetterò .. » e riconsegnandomi il ‘Non ti scordar di Me’, di cui mi ero completamente dimenticato se ne era andato, lasciandomi in piedi come una statuina a fissare l’angolo di casa dietro il quale era scomparso.
Raccontarmi una cosa, ma cosa poteva dirmi lui?

«Wilhelm Lowell Wald, come hai osato somministrare del sonnifero a tua nonna?» la voce di mia madre non mi era mai apparsa così iraconda in tutti i miei undici anni. Ed il fatto che fossi completamente bagnato non mi aveva di certo aiutato. Entrai in casa con la coda tra le gambe.
«Ma .. mamma, io .. »
«Non ci provare, » mi aveva zittito. «Sei in punizione! Non potrai andare alla festa della famiglia Neider questa sera!»
«Mamma, Thomas .. mi aspetta!» A nulla erano valse tutte le mie suppliche, non ci sarei potuto andare, punto e basta.
Ma poi perché ci sarei dovuto andare, per farmi prendere ancora in giro?
Eppure una parte dentro di me voleva vederlo.

Non ero riuscito a pensare a nulla, a nessuno che non fosse Thomas.
Tom.
Mi era entrato di nuovo nella mente, come quando lo sognavo, ma adesso sentivo la sua mano che mi carezzava la guancia, le sue braccia che mi stringevano durante la discesa .. avevo il suo profumo impresso sulla pelle.
Avevo passato la serata ad immaginare la festa a come sarebbe stato ballare nell’immensa sala dei Neider.
Nell’intera serata mai, nemmeno una volta, il mio pensiero corso a Nymphe.

Con il cuore in gola mi ero preparato per andare a letto, ero talmente elettrizzato che l’idea di dormire non mi era passato nemmeno per l’anticamera del cervello.
Avevo preparato il tutto come nella leggenda: Sette gemme, messe al mondo dalla stessa madre, sotto l’arcobaleno. Ne avevo fatto un piccolo mazzolino, legandoli con uno dei nastri per capelli che io e Andreas avevamo rubato e li avevo adagiati delicatamente vicino al mio guanciale.

Quando aprì gli occhi la mia visuale fu completamente pervaso dal sole accecante che batteva su tutto lo spazio circostante. Il cielo era sereno, ma il dubbio che non fosse la realtà quella che stavo vivendo mi venne quando vidi le sottili goccioline che avevano iniziato a bagnarmi dapprima il capo per poi aumentare pian piano diventando una leggera pioggia estiva.

Mi accorsi di stringere forte, nella mano sinistra, qualcosa di molto fragile, un fiore. Era piccolo e delicato, brillava nell’azzurro chiaro in cui era dipinto, lo portai vicino al viso per poterne sentire il profumo. Mi ricordava qualcuno, un volto gentile, con il sorriso perenne sulle labbra, solo per me.

Sentì uno strano calore invadermi il corpo, percepì chiaramente quella sensazione di quando il petto iniziava a riscaldarsi, il tepore che inizia a invadere ogni singola cellula del corpo.

L’altra mano era stretto a qualcosa, alla mano di qualcun altro. Alzando lo sguardo lo vidi, il viso di un bambino. Mi sorrideva, le sue iridi dorate mi trasmisero una scarica elettrica solo a guardarle.
Il sorriso nacque spontaneo anche sulle mie labbra, era così bello poter sentire il calore di un corpo
famigliare accanto a me.

«Bill .. » la voce mi era apparsa così suadente che sarei volentieri rimasto lì, per poterla sentire ripetere altre migliaia di volte.

Poi, fummo interrotti da una fanciulla che ci volteggiava attorno, con lei un giovane poco più grande, non smisero mai si sorridere, era come trovarsi sotto una cupola di felicità e spargevano dei petali variopinti in ogni direzione, concentrandosi in particolar modo su di noi, che ancora ci stringevamo per mano.
Il bambino mi condusse fino alla sorgente d’acqua limpida, nessun rumore dalle immense cascate che troneggiavano su di noi, solo il fruscio delle fronde dei salici che in egual modo si specchiavano nell’acqua.

Quello che ebbi fu una distorta visione di un ragazzo dai lunghi capelli d’ebano che incorniciavano un viso diafano. Mi sorpresi nel constatare che quel riflesso non era altri che il mio volto. Accanto a me il bambino era scomparso, aveva lasciato il posto ad un bellissimo giovane, dal volto angelico, seppur dai lineamenti decisi. Aveva uno sguardo pieno d’amore per quello che era il mio riflesso, posai le dita sulla superficie argentea cercando di imprigionare un po’ di quell’adorazione, ma appena la mia mano sfiorò l’acqua, il miraggio scomparve, lasciando come unico risultato i volti acerbi di due bambini.

Girandomi colsi sul volto di .. di
Tom lo stesso sguardo pieno d’ammirazione del giovane, lui stava guardando me. Mi avvicinai piano al suo volto, alle sue labbra, portando una mano dietro la sua nuca e attirandolo gentilmente a me gli posai un flebile primo bacio. Non potei allontanarmi di molto che fu lui a stringermi a se e ricongiungere le nostre labbra, in un contatto leggermente più intenso. Chiusi gli occhi nel gesto.
«Tom .. per sempre tuo.» Parole sussurrate al vento.
Non c’era più.

Quando mi svegliai stringevo il mazzolino in un pugno, avevo il respiro accelerato e la fronte sudata. Ma il mio primo pensiero non fu niente di tutto ciò che avevo vicino, la mia mente corse verso qualcosa o meglio, qualcuno che avrei perso di lì a poco.
Non sapevo esattamente che ore fossero, sapevo solo che dovevo affrettarmi, dovevo correre più veloce del vento. Ma si sa che ero un semplice bambino, troppo stupido persino per leggere dentro se stesso.
Con ancora addosso il soffice pigiama di cotone indossai le scarpe, nemmeno mia madre riuscì a fermarmi urlandomi di coprirmi. Fuori, nonostante fosse metà luglio il cielo era scuro e incombevano minacciosi sull’intera valle.
Mi misi a correre con tutto la forza che avevo nelle gambe, arrivai barcollando davanti al cancello di Villa Neider, ma il posto sembrava abbandonato. Il cancello era chiuso con un enorme lucchetto e all’interno si potevano intravedere le finestre sbarrate.
Sentì cedere le ginocchia sotto il mio fragile peso, non c’era più.

Mia madre mi aveva raggiunto poco dopo, trovandomi aggrappato alla piccola catenina che impediva l’accesso all’interno dell’abitazione.
«Ritorniamo a casa, piccolo mio.» Mi aveva stretto in un tenero abbraccio e sollevandomi, con non poca fatica, mi aveva ricondotto a casa febbricitante.
Quando mi ero ripreso leggermente e l’inevitabile febbre era scesa mi aveva raccontato il più incredibile dei sogni.
Mentre io ero in pieno delirio, la mattina della partenza, Tom era venuto a trovarmi. Mi aveva tenuto compagnia per pochi attimi in cui era stato seduto accanto a me, mi aveva stretto la mano.
«Vi ho sentito parlare .. » aveva commentato mia madre, « .. gli hai sussurrato qualcosa che non ho compreso, sembravi dormire, eppure hai parlato!» aveva concluso con un sorriso.
Tom se ne era andato sorridente, lasciando una piccola scatolina per me; aprendolo avevo scoperto quelli che erano sette fiori, tutti secchi, ma conservati e profumati come se fossero stati appena colti, tutti tranne uno. Un ‘Non ti scordar di Me’, fresco di campo.
Erano posati sopra un piccolo bigliettino, completamente bianco se non per tre semplici parole: Ti ho sognato.
Strinsi al petto quel piccolo bigliettino, versando le mie prime lacrime da ‘cuore spezzato’.

Con Tom era stato tutto una prima volta.
La prima persona che ho odiato; la prima persona che ho ignorato; la prima persona che ho invidiato; la prima persona che ho baciato. La prima persona che ho amato. Prima e unica.
«Non ti scorderò, ti continuerò ad aspettare.»





Note:
*Patendo dal principio, la citazione riportata è il Carme 85, dal Liber di Catullo. Secondo me si addice perfettamente a questa favola. Certe volte non sappiamo il perché, ma semplicemente amiamo e odiamo.

Allora (: .. sono felicissima di essere arrivata fino qua.
Questa è la mia prima OS, e sono emozionatissima, perché se state leggendo queste note assurde vuol dire che siete riuscite ad arrivare al termine di questa cosa assolutamente improponibile ..
La storia era partita da tutta un’altra traccia, ma come si suol dire: I personaggi hanno preso vita. Forse molte di voi, leggendola, diranno che il piccolo Bill è senza carattere, ma quante di noi non hanno avuto un’esperienza simile? Spesso disprezziamo ciò che non comprendiamo e alla sua età la confusione regna. (:
Ma una cosa c’è da precisarla: tutto è stato messo per uno scopo preciso, nulla in questa storia dovrebbe essere dato per scontato o preso alla leggera; fa tutto parte di un disegno divino, qualcosa di predestinato .. xD
Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto.
Grazie, Eire.
 
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Tyna.Sex
view post Posted on 15/10/2010, 20:56




*-* è bellissima.. ho le lacrime agli occhi T^T complimenti è davvero bella!!
 
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view post Posted on 17/10/2010, 12:56
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Obsessed Twincester
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wow ç_ç
è stata molto bella....
complimenti.
 
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~ Eire
view post Posted on 18/10/2010, 19:49




Grazie per aver letto e commentato, ragazze (:
 
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Tyna.Sex
view post Posted on 19/10/2010, 20:44




Figurati ^^
 
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4 replies since 15/10/2010, 18:49   141 views
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